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Intervento alla Camera di Walter Veltroni per la dichiarazione di voto sul Decreto Anticrisi

Signor Presidente, ieri questa Camera ha votato per la decima volta la fiducia al Governo, un Governo che ha varato trenta decreti-legge contro i diciotto che, nello stesso periodo, aveva varato il Governo Prodi. La decima questione fiducia è stata posta dal Governo in presenza di 115 emendamenti, 63 della maggioranza e 28 dell’opposizione. Dunque, è evidente che la questione di fiducia è stata posta per affrontare il problema che gli interventi che abbiamo ascoltato in quest’Aula hanno squadernato, ossia il problema delle divisioni interne alla maggioranza.
Presidente Fini, lei ha correttamente richiamato la centralità del Parlamento e il suo ruolo, non presentandosi – evidentemente per le ragioni numeriche alle quali ho appena fatto riferimento – quelle condizioni istituzionali minime per le quali si possa impedire al Parlamento di votare un provvedimento di questa importanza, in un momento così drammatico per la storia del nostro Paese.
La cosa ancora più paradossale dal punto di vista politico è il fatto che questa maggioranza gode di un ampio consenso parlamentare. La maggioranza precedente, quella che governò tra il 2006 e il 2008, aveva margini più esigui e, dunque, era più spiegabile che ricorresse alla voto di fiducia, ma questa maggioranza potrebbe approvare i provvedimenti – tanto più in presenza di un’opposizione (parlo per tutte le opposizioni) assolutamente responsabile, specie su materie come questa – con le proprie forze.
Invece, quello che sta emergendo con grande chiarezza è il fatto che, molto prima di quanto si potesse immaginare, stanno manifestandosi all’interno della maggioranza delle profonde divisioni.
So benissimo che si potrebbe obiettare che analoghe divisioni esistono nelle opposizioni, ma questo è più naturale: quando una forza perde le elezioni è persino ovvio, naturale e fisiologico che discuta, che si confronti e che ricerchi le vie per poter vincere le successive. Ma chi ha vinto le elezioni con il consenso che ha avuto lo schieramento del Popolo della Libertà e la sua alleanza, dopo pochi mesi, appare diviso sulle questioni fondamentali del Paese: la giustizia, l’immigrazione, la vicenda Alitalia. Abbiamo ascoltato il rappresentante del Movimento per l’Autonomia annunciare che non parteciperà al voto e dire che questo provvedimento disattende il programma di Governo. Abbiamo ascoltato la rappresentante della Lega dire che ci sono punti di questo provvedimento sui quali non sono assolutamente d’accordo e nutrire l’intervento di una esplicita polemica nei confronti del Popolo della Libertà.
Ma le persone che ci ascoltano in questo momento credo guardino a tutto questo come a qualcosa che probabilmente riguarda più noi che loro, perché le persone che ci ascoltano, gli italiani che in questo momento possono sentire le nostre parole, sono attraversate in questo momento da una drammatica emergenza sociale, la cui sottovalutazione, durata per troppi mesi, è del tutto inaccettabile e insopportabile. Lo sanno quegli imprenditori, piccoli e medi, del nostro Paese, che in questo momento stanno decidendo se andare avanti o meno e che si trovano spesso costretti a dover rinunciare all’apporto dei loro collaboratori, che spesso sono cresciuti e hanno fatto la loro azienda insieme a loro. Lo sanno le famiglie degli italiani, che devono decidere se poter reggere il livello di vita che hanno avuto fin qui o non selezionare, come stanno facendo, gli acquisti e le spese da fare. Lo sanno quegli operai e quei lavoratori che stanno perdendo il lavoro, spesso persone di cinquant’anni che perdono il lavoro nel momento in cui la loro vita si è consolidata, hanno contratto dei mutui, hanno degli impegni con il resto della famiglia e si trovano nella condizione drammatica di non poter garantire alla loro famiglia un futuro e una sicurezza. I dati sono di fronte a noi.
Oggi mi sarei aspettato la presenza del Presidente del Consiglio o del Ministro dell’economia e delle finanze (pur ringraziando i Ministri presenti): sarebbe stato un minimo atto di responsabilità e di rispetto nei confronti di un Parlamento al quale viene chiesto di votare questo provvedimento in questo modo.

(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico, Italia dei Valori e Unione di Centro)

Il Presidente del Consiglio disse che questa crisi finanziaria non avrebbe avuto effetto sull’economia reale. Ecco i dati: la produzione industriale a novembre è calata del 12,7 per cento e del 46 per cento nel settore dell’auto, tre imprese su quattro faticano ad avere linee di credito, 60 mila esercizi commerciali hanno chiuso, a dicembre il numero delle ore di cassa integrazione è cresciuto del 526 per cento. Ci sono migliaia di persone a casa per una settimana o per due mesi, che prenderanno il 20 per cento in meno di un salario che è già del tutto inadeguato. C’è una riduzione dei consumi ancora oggi dimostrata dall’ISTAT, ci sono 7 milioni di dipendenti privati e 2 milioni di precari nel nostro Paese, che se perdono il lavoro sono a zero euro.
Vorrei richiamare l’attenzione di tutti noi sui precari (lo ha fatto prima l’onorevole Casini). Il Presidente del Consiglio in campagna elettorale disse che i precari non erano il problema principale di questo Paese. Per 2 milioni di persone, che hanno ormai trentacinque o quarant’anni, che hanno fatto decine di contratti, c’era la prospettiva della stabilizzazione del lavoro, che teneva in vita un’aspettativa di vita molto complicata, perché vivere con 700-800 euro al mese con contratti di sei mesi, interrotti magari da pause di tre, non è facile. Ma adesso la prospettiva non è più la stabilizzazione del lavoro, ma la perdita dello stesso, visto che le imprese tagliano per primi proprio i precari.
La social card, una delle misure di questo provvedimento, appare per quella che è: una gigantesca presa in giro dei pensionati e degli anziani di questo Paese.

 (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro)

Per 200 mila anziani, come dicono oggi i giornali, non c’è una possibilità, senza considerare l’umiliazione che è racchiusa nelle pratiche burocratiche e nella stessa concezione di uno strumento che sarebbe stato molto più facilmente sostituibile con un piccolo intervento a sostegno delle pensioni più deboli.
Questo Governo ha sprecato dei soldi: li ha buttati con il provvedimento sull’ICI, che ha consentito di non pagare l’ICI a persone che avrebbero potuto permetterselo; li ha buttati con l’Alitalia, che il Financial Times ha definito ieri «l’inglorioso imbroglio» e che ci è valso sui giornali francesi dei titoli ironici rivolti al Presidente del Consiglio, che lo ringraziavano per aver praticamente regalato ad Air France ciò che prima Air France avrebbe dovuto acquistare accollandosi dei debiti che invece gli italiani devono pagare.

(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati dei gruppi Unione di Centro e Italia dei Valori)

Il quadro generale del nostro Paese è questo. Basta leggere l’articolo di Luca Ricolfi, un osservatore tradizionalmente non attento alle questioni se non a quelle dell’obiettiva valutazione dei fatti: è aumentato ancora di altri due giorni il tax freedom day, le tasse nel 2009 aumentano invece che diminuire, la criminalità ha raggiunto i massimi storici e gli sbarchi degli immigrati sono raddoppiati. Questa è la differenza tra le promesse e la realtà di questo Paese. Avremmo bisogno di un grande piano: in Germania hanno investito ora 50 miliardi per i prossimi due anni, 31 li hanno investiti nello scorso autunno, hanno creato un fondo di 100 miliardi per le imprese; in Francia 24 miliardi di euro; in Gran Bretagna 20 miliardi di euro. È necessario un disegno complessivo, per un Paese che si trova nel paradosso di avere il debito pubblico più alto e i rendimenti dei BOT più bassi. L’OCSE ci ha assegnato la maglia nera d’Europa.
Questa crisi è una crisi che non è certo attribuibile alla responsabilità di questo Governo per la sua natura e dimensione globale, ma alla responsabilità di questo Governo è attribuibile il fatto di non avere un’idea per portare il Paese fuori dalla crisi stessa e farlo ripartire e rinascere.

(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)

Come ha detto il Presidente Napolitano, la crisi può essere una grande occasione: un’occasione di sviluppo e di giustizia sociale. Di qui – e concludo – le proposte del PD: estendere gli ammortizzatori sociali, prima con un fondo e poi con un sussidio unico di disoccupazione che consenta di fronteggiare la disoccupazione quando questa riguarda lavoratori o lavoratori precari che hanno perduto il lavoro; sostenere i redditi, attraverso la dote fiscale e l’aumento degli assegni familiari; aiutare le imprese. È stato approvato un ordine del giorno in quest’Aula: la pubblica amministrazione paghi i debiti che ha nei confronti delle piccole e medie imprese, le aiuti in un momento di particolare difficoltà, e si favoriscano le imprese per l’accesso al credito.
Un’ultima cosa. Quando questa crisi cominciò, a me come leader del maggiore partito di opposizione capitò di dire ciò che hanno detto i miei colleghi, leader dell’opposizione, indipendentemente dagli schieramenti, in tutti i Paesi europei, e cioè la disponibilità, da parte dell’opposizione, a concorrere per affrontare una crisi che riguarda milioni di italiani, e lo abbiamo fatto con le nostre proposte.
La risposta del Presidente del Consiglio fu in tre parole, che nella storia di questo Paese hanno un significato che fa gelare il sangue nelle vene. La risposta fu: me ne frego. In fondo è proprio questa, proprio in fondo questa, la differenza più chiara e più netta, la profonda differenza che esiste tra noi

(Prolungati applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Italia dei Valori – Congratulazioni – Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

15 gennaio 2009

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