Signor Presidente,
l’ordine del giorno muove dalla considerazione che il sistema nazionale universitario è sotto finanziato. Tale valutazione fu espressa anche dal ministro Gelmini nell’audizione di presentazione delle linee programmatiche del suo dicastero.
Da allora il ministro ha cambiato opinione, sposando già in estate la tesi – suffragata da un dibattito pubblico spesso superficiale e basato su dati parziali e non approfonditi su cui mi sono già soffermata in sede di discussione generale – che il nostro sistema universitario sia sprecone, inefficiente, fallimentare.
Di fronte a questa diagnosi, che non condividiamo, la cura da cavallo proposta dal Governo è quella di ridurre drasticamente sia i finanziamenti statali sia il personale, e sollecitare le università alla auto-privatizzazione.
Questa insensata strategia è stata messa in atto già con i primi provvedimenti del Governo Berlusconi, che voglio riprendere velocemente.
Il decreto 93, noto come taglia ICI, che ha decurtato a partire dal 2010 il Fondo di Finanziamento ordinario di ben 474 milioni di euro. Una misura pesantissima poiché incide per ben il 46 per cento delle spese di funzionamento degli atenei, data l’incomprimibilità degli oneri stipendiali.
Il decreto 112, la cosiddetta manovra d’estate, che ha previsto la trasformazione delle università in fondazioni di diritto privato, dimenticando la sottoscrizione italiana di impegni europei che definiscono la formazione e la ricerca come beni pubblici e la trasmissione del sapere come funzione pubblica.
Il decreto 112 ha inoltre contemplato anche il sostanziale blocco del turnover del personale universitario, previsto con la sola finalità di fare cassa ai danni del sistema di istruzione superiore, senza alcuna attenzione alla necessità di aprire il mondo accademico ai giovani ricercatori, costretti a valorizzare il proprio talento e la propria preparazione in un’avvilente condizione di precarietà, oppure presso istituzioni estere.
Il Governo, con il blocco al turnover, ha valutato risparmi per più di un miliardo e 600 milioni di euro nel quinquennio 2009-2013: noi preferiamo parlare di un evidente progressivo disimpegno dello Stato dalla funzione di sostegno e garanzia di un sistema pubblico di istruzione superiore.
Infine, il decreto 180. Con esso il Governo compie un parziale passo indietro sul blocco del turnover, sollecitato dalla mobilitazione del mondo universitario.
Un ripensamento parziale, che comunque valutiamo positivamente, poiché il turnover dal 20% è elevato al 50% delle cessazioni di personale dell’anno precedente.
È comunque evidente a tutti: il 50% è meglio del 20%, ma nessuno può convincere noi, e tanto meno i giovani che vogliono dedicarsi alla didattica e alla ricerca nell’università, che il 50% sia meglio del 100%.
Con questo ripensamento il FFO è reintegrato di 354 milioni di euro, ma si tratta davvero di ben poca cosa rispetto al macigno rappresentato dai possenti tagli già apportati.
Quindi, sotto il profilo delle risorse statali destinate al sistema universitario, il decreto 180 resta perfettamente aderente alla politica della manovra estiva, che lo ispira.
Come ho avuto modo di ricordare in quest’Aula non più tardi di tre giorni fa, in questo scenario di sotto finanziamento del sistema nazionale, perde valore anche la ripartizione del 7 per cento del Fondo di finanziamento ordinario secondo criteri che premiano la qualità della ricerca e della didattica, così come previsto dall’articolo 2 del decreto.
Condividiamo il principio che ispira la norma, che però è destinata ad una desolante inefficacia per il fatto che non vengono utilizzate risorse aggiuntive, bensì quelle già presenti nelle poste di bilancio.
Del resto, e lo ha ricordato anche il relatore Caldoro, già oggi per il riparto annuale del Fondo di finanziamento ordinario è previsto un modello teorico predisposto dal Comitato per la valutazione del sistema universitario che tiene conto anche dei risultati di processi formativi e della ricerca scientifica, ma, cito dalla relazione dell’on. Caldoro, “a causa della situazione di crescente squilibrio finanziario delle università, negli ultimi anni il FFO è stato allocato, nonostante il modello CNVSU, quasi esclusivamente sulla base delle quote storiche di spesa”.
Insomma, in queste condizioni, nessuna premialità finanziaria sarà efficace se non aggiungendo risorse e questo chiediamo nel nostro ordine del giorno.
Qualsiasi politica di rilancio e razionalizzazione del sistema, non può che assumere questo impegno, poiché, giusto per chiudere con la stessa metafora con la quale ho iniziato il mio intervento, un cavallo affamato e privatizzato non può ricominciare a galoppare.
Pubblicato il 8 Gennaio 2009
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