Caro Direttore,
è proprio vero che chi propone è perduto. Il Ministro Tremonti taglia del 46% il contributo statale alle spese di funzionamento degli atenei statali (al netto degli stipendi del personale) e dell’80% il ricambio generazionale dei docenti a fronte di nessun progetto di riforma del Ministro Gelmini? Pochi opinionisti commentano, anzi qualcuno si meraviglia che gli universitari protestino per tagli così “marginali”! Il Partito Democratico sceglie invece di avanzare dieci proposte precise sul futuro dell’università italiana. Immediatamente Andrea Ichino parla di occasione mancata perché la montagna PD avrebbe partorito un topolino.
Ringraziamo per la montagna e accettiamo volentieri le critiche. Infatti l’obbiettivo delle proposte del PD è proprio quello di suscitare nel Paese un dibattito aperto e di merito sulla situazione dell’università italiana, fuori dall’incandescenza delle proteste e dei facili catastrofismi. Ma c’è da augurarsi che il dibattito si fondi su opinioni ben meditate e documentate, altrimenti si rischia di aumentare la confusione e di aggravare la profonda crisi di credibilità che il sistema universitario già attraversa.
Il PD è assolutamente contrario a tagli dei finanziamenti statali alle università pubbliche. L’Italia è già l’ultima dei Paesi europei dell’OCSE quanto a quota della spesa pubblica destinata all’università. Ridurre le risorse a chi è già ultimo vuol dire accelerarne la fine. Certo i finanziamenti statali devono essere utilizzati meglio possibile e non sono tollerabili sprechi e cattive amministrazioni, che devono essere severamente perseguiti con gli strumenti sanzionatori già disponibili. Ma non è corretto attribuire la cattiva amministrazione degli atenei al fatto che gli stipendi sono eguali per tutti i docenti della stessa anzianità, indipendentemente dalla qualità del loro lavoro, dimenticando che si tratta dell’applicazione di una norma di legge vigente e omettendo di dire che è proprio il PD a proporre una nuova legge che differenzi gli stipendi in base al merito.
Vorremmo anche rassicurare i lettori che le proposte del PD non prevedono affatto un neo-centralismo sugli avanzamenti di carriera dei docenti e sulla “governance” degli atenei. Al contrario puntano decisamente nella direzione di una maggiore autonomia responsabile delle università e di una stringente valutazione dei loro risultati. Nei concorsi per gli avanzamenti di carriera in un ateneo, dove vi è il delicato problema che devono essere valutati i risultati scientifici dei propri stessi colleghi di università, si è proposto che ciascun candidato debba preliminarmente aver conseguito un certo livello scientifico stabilito a livello nazionale per la fascia docente in cui vorrebbe essere promosso.
Sempre a proposito di reclutamento, Ichino si scaglia contro la proposta di confermare e ampliare il reclutamento straordinario di ricercatori universitari previsto dalla finanziaria 2007 definendolo “una disastrosa promozione ope legis di chiunque sia precario”. Dimentica che questo reclutamento avviene esclusivamente sulla base di concorsi pubblici selettivi e che il numero dei posti banditi è ahimè molto inferiore al numero dei tanti bravissimi ricercatori precari che operano nelle università e che si apprestano ad essere cacciati dal sistema italiano per il blocco del turn-over voluto dal Governo.
L’argomento delle tasse universitarie è scottante. A differenza di altri grandi Paesi europei i cui studenti universitari non pagano tasse, in Italia il contributo studentesco è già adesso abbastanza alto: pesa globalmente per poco meno di un quinto dell’intero finanziamento statale. Il PD ritiene che, soprattutto in questo momento di grandi difficoltà economiche delle famiglie, non sia giusto chiedere loro ulteriori sacrifici per lo studio dei figli. Il che non vuol dire che le famiglie più ricche non debbano essere chiamate a contribuire molto più delle altre ed è bene che si sappia che è già così perché la legge attuale fissa un massimo al contributo globale studentesco ma lascia gli atenei autonomi nello stabilire come graduare la contribuzione tra gli studenti, senza alcuna soglia massima.
Rinviamo per brevità ad altra sede l’analisi dei complessi problemi del valore legale del titolo di studio e della privatizzazione delle università, sui quali però vorremmo rassicurare che il PD non è animato da nessun furore ideologico ma solo dal desiderio di garantire che la formazione e la ricerca universitarie siano “beni pubblici e pubbliche responsabilità” come stabilito anche in accordi europei sottoscritti dai governi italiani sia di centrodestra che di centrosinistra.
Ma non possiamo non difendere con forza la nostra università dai troppi attacchi di questi giorni. Non è vero affatto che la nostra istruzione universitaria sia di pessima qualità per tutti perché non si spiegherebbe il successo di tanti nostri laureati in Italia e, purtroppo, soprattutto all’estero. Non è vero affatto che la nostra ricerca sia al lumicino per qualità dei risultati perché lo è solo per entità dei finanziamenti (ultima in Europa). Non è vero affatto che tutti i docenti universitari siano dei fannulloni perché la maggior parte lavora con intensità, passione e competenza straordinarie. Le università hanno certamente bisogno di riforme perché scandali e malfunzionamenti vanno estirpati e hanno certamente bisogno di avere risorse almeno al livello delle medie europee per alimentare la competitività internazionale del nostro Paese.
Luciano Modica, Responsabile Nazionale Università del PD
dal Sole 24 Ore, 1 novembre 2008
per leggere l’articolo di Ichino (pubblicato ieri sul Sole 24 Ore), clicca qui