Elisa, studentessa di Scienze della Formazione primaria a Pisa, porta in piazza la Gelmini «che con l’accetta che fa cadere i bambini». Il professore Ugo Rubei dell’università «La Sapienza» spera di incontrare i suoi studenti di letteratura americana e intanto si appende al collo una battuta: «Testa di Cassio su corpo di Bruto», e spiega: «Sono qui per dare un segnale. Il ministro ha condannato a morte l’Università: questa distruzione programmata non deve passare». C’è Adriano, 5 anni di Milano, che non sta zitto un minuto: «Sono qui per protestare. Voglio fermare la signora che vuole mandare all’aria tutta la scuola», urla. La sua mamma gli ha tolto anche il fischietto ma lui ha un cartone che usa da megafono. Non è ancora l’ora di pranzo e piazza della Repubblica è già piena di gente. «Tutta la Sicilia dietro lo striscione rosso Mezzogiorno per l’Italia» si sgola Giuseppe di Scienze politiche a Catania. Ma il mondo della scuola vessata dalla mannaia Tremonti e il diritto allo studio consegnato al maestro unico, è sparso ovunque: docenti, genitori e studenti, universitari, bidelli e segretari insieme.
Anna Martellotti, 53 anni, viene da Perugia. «Meglio bionda che Brunetta», è il suo slogan. «Sono un’insegnante in via d’estinzione – dice – Il blocco del turn over che ci ridurrà come i panda. Sono qui per difendere i giovani, io posso anche andare in pensione ma a loro quale futuro questo governo ha assicurato? Hanno tolto risorse umane alla ricerca. E chi mandano adesso in Antartide a fare ricerca?». Niccolò e Edo arrivano mentre il corteo muove i primi passi e fanno una gran fatica a farsi largo tra la folla. Sono arrivati con il treno da Certaldo, provincia di Firenze. E issano al cielo la loro protesta: «No all’art.133. O democrazia o manganelli. A voi la scelta». Più esplito Jacopo, liceale a Rieti: «Se la squola (con l’errore voluto, ndr) occuperai in galera finirai». Si accodano anche Martina, Enrica e Sara dell’università «Roma Tre», che precisano: «Siamo qui perchè non perdiamo una manifestazione da un mese a questa parte. Siamo qui indipendentemente dal colore politico della manifestazione». Davide, impiegato comunale a Poggibonsi (Siena) ascolta e commenta: «Il gioco della Gelmini è quello di dividere il movimento studentesco. Ma il malcontento è dell’intera Italia. Non può ignorarci».
La maestra Ada Negri di Roma è la più fotografata: orecchie d’asino e l’icona della Gelmini nelle vesti di «Beata Ignoranza» come trofeo in un mini-altare. Ma lungo la marea di gente che cammina per via Cavour fa bella mostra anche «San Precario». Un papà con la zaino di scuola in spalla tiene stretta la manina di Alice, 6 anni. «No – spiega – dentro non ci sono libri ma i panini per tutta la famiglia. Arriviamo da Bellegra, provincia di Roma, le mie figlie frequentano a Palestrina una scuola a tempo pieno che vorremmo resti così com’è».
Mischiati nello spezzone del corteo dove si protesta contro il lodo Alfano e il pubblico impiego, spuntano altri cartelli: «La pedagogia non è improvvisazione. Gelmini vieni, ti diamo una lezione». L’ha scritto Perla che insegna italiano da trent’anni in una scuola elementare in via XX settembre, a pochi passi dal ministero dell’Economia. Mentre Francesco Venti, precario di ricerca ambientale, lamenta la chiusura di tre istituti dell’Ispra. Dal camion con gli altoparlanti arriva la voce di Andrea Cosi che legge in diretta i messaggi e gli sms. «Veltroni abbiamo perso solo le elezioni, ma non siamo perdenti», ha scritto una nonna. E Francesco Angeloni, ad un passo dalla laurea in Ingegneria, commenta: «La Gelmini e questo governo vogliono solo appiattirci e controllarci».
L’Unità, 26 Ottobre 2008
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