Alle 11, davanti all’università Statale di Milano, gli studenti «contestatori» sono un centinaio. Raggiungono i piani alti dell’ateneo. Per un’ora occupano l’ufficio del rettore, Enrico Decleva. Gli chiedono (senza riuscirci) di firmare contro «la scure della coppia Tremonti-Gelmini», pena lo stop alle lezioni. Anche Roma protesta: «Blocco dell’anno accademico», annunciano i collettivi della Sapienza occupando la presidenza di Scienze. E così fanno Torino, Napoli, Palermo. No ai tagli all’università. Ma anche il mondo della scuola torna (di nuovo) a farsi sentire. Con una valanga di email che da qualche giorno sta intasando il sito del presidente della Repubblica: «No al maestro unico». Una giornata per contestare il crollo dei finanziamenti destinati ad atenei e accademie, la riduzione delle borse di studio, la «precarizzazione» del corpo docente. No alla legge 133/2008. Lo gridano gli studenti, lo ripetono ricercatori, dottorandi, assegnisti, professori. Di tutta Italia.
Tanto da azzardare un paragone: il 2008 come il ’68? Presto per dirlo. Ma le premesse, giurano in molti, ci sono tutte. Le proteste: blocco della didattica a Firenze e Napoli, stop alle cerimonie di apertura dell’anno accademico a Torino, volantinaggi con conseguenti ingorghi del traffico a Parma, consigli straordinari a Pisa, lezioni all’aperto a Palermo, raccolte di firme a Roma. A Cagliari i docenti hanno consegnato le rinunce agli incarichi di presidenza, mentre negli atenei calabresi è stato proclamato lo stato di agitazione. Il mondo dell’istruzione mobilitato: un tam-tam che passa per le aule, tocca le famiglie, scova professori, raggiunge riunioni di Senato Accademico (oggi a Milano è previsto l’«assalto» da parte dei ragazzi e dei ricercatori). E arriva fino al Quirinale. Via internet. Il ritmo è di una email ogni due-tre minuti (c’è quella inviata dalla scrittrice Dacia Maraini). Il testo: «Presidente Napolitano non firmare la legge Gelmini sul maestro unico». Un appello senza precedenti: migliaia di sms che da qualche giorno rimbalzano sui telefonini di tutto il Paese. Istruzioni: «Vai sul sito www.quirinale.it e scrivi al presidente della Repubblica di non firmare il decreto Gelmini».
Qualcuno altro si è spinto oltre: «Se raggiungeremo quota ventimila mail, il capo dello Stato dovrà tenere conto del nostro appello». Ipotesi remota. Anzi, Napolitano è stato costretto a ricordare, pubblicamente, i suoi compiti. «La riforma della scuola è ancora all’esame del Parlamento. Inoltre, secondo la Costituzione, è proprio del Parlamento la responsabilità delle scelte politiche». E dunque: «Il presidente ha, in ogni caso, l’obbligo di promulgare le leggi, qualora le stesse siano nuovamente approvate, anche nel medesimo testo». Altra protesta virtuale, altrettanto veloce e numerosa: su Facebook sono più di undicimila gli italiani che hanno aderito all’iniziativa di sostegno all’istruzione pubblica contro la legge 133. Le motivazioni: «Questo governo vuole ridurre i fondi alle università di 500 milioni di euro nei prossimi tre anni, limitare il turnover al 20 per cento dei pensionamenti provocando un’inevitabile fuga di cervelli». Elementari, medie, accademie. La rivolta cresce. Dagli Stati Generali degli atenei agli scioperi di venerdì 17 e di giovedì 30. Perfino Alessandro Mazzucco, rettore a Verona, osserva: «Se le cose continueranno a seguire questa direzione, nel 2010 tutte e 66 le università statali italiane saranno in emergenza».
Il Corriere della sera, 14 ottobre 2008
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