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“L’integrazione in Italia: il ruolo delle immigrate”, di M. Antonietta Calabrò

L’80% di chi ha un lavoro regolare nel nostro Paese  non si sente discriminata. È la donna il vero motore dell’integrazione, il punto di forza su cui fare leva per il successo di politiche che superino disagi, difficoltà, paure e rischio di reazioni razziste. Le donne immigrate sono infatti il principale «agente» di inserimento dei loro gruppi etnici nel nostro Paese, «poiché svolgono una funzione di confronto e di stimolo sia nei confronti della propria comunità che della nostra, quella ospitante». Il fenomeno riguarda indistintamente tutte le nazionalità, sia quelle che provengono dal Mediterraneo meridionale sia quelle che provengono dal Mediterraneo orientale e qualunque sia la religione professata (mussulmana, cattolica o altra confessione cristiana, come quella ortodossa). Insomma, la differenza di genere (maschio/femmina) — ossia la distinzione tra le posizioni di uomini e di donne rispetto agli stessi problemi — sembra una variabile così importante ai fini della riuscita dell’integrazione, da superare tutte le altre.
È questo il risultato sorprendente di una ricerca commissionata (e questa è un’altra sorpresa) dalla Fondazione «Farefuturo », una fondazione di centrodestra, presieduta da Gianfranco Fini e diretta da Adolfo Urso. Lo studio è stato curato dall’istituto di ricerca di Nicola Piepoli e verrà presentato oggi a Roma. In particolare, il sondaggio evidenzia che la comunità mussulmana non può essere considerata un monolite, perché al suo interno le posizioni di uomini e donne molto spesso divergono e, tra tutte le immigrate, «sono in particolare le donne mussulmane quelle che riconoscono che la presenza in Italia fornisce maggiori opportunità per i figli e un incremento delle conoscenze della famiglia».
Lo studio si basa su un campione rappresentativo degli immigrati «regolari» e residenti nel nostro Paese in media da circa sette anni: il 70% ha un lavoro e vive in affitto, ha un reddito giudicato complessivamente «sufficiente». Per metà è di religione mussulmana (30% sono i cattolici e lo stesso dato è espresso dalla componente che si autodefinisce «non credente»).
Ebbene, le maggiori difficoltà evidenziate per gli uomini sono quelle relative alla casa o all’abitazione, mentre le donne tendono più a rilevare anche gli aspetti psicologici relativi ad ostilità incontrate o a problemi di adattamento, soprattutto se casalinghe. In generale, tuttavia, le donne più degli uomini ritengono di «non riscontrare nessuna difficoltà particolare ». Per cui, nel complesso, ben l’80% degli immigrati si sente «molto» o «abbastanza integrato» in Italia, con percentuali sensibilmente maggiori per quelli provenienti dall’Est Mediterraneo.
Oltre il 50 per cento del campione, inoltre, con priorità per le donne lavoratrici (16% in più delle casalinghe), ritiene «facili le relazioni con gli italiani». Nel complesso si tratta soprattutto di over trentacinquenni e di persone di livello di istruzione superiore. Tale percezione è però più diffusa nei soggetti in coppia o in famiglia (10 per cento in più rispetto a quelli senza partner).
Il 30 per cento di coloro che valutano difficili i rapporti è invece composto prevalentemente da giovani uomini con una leggera prevalenza della classe d’età 1834 anni, e coinvolge principalmente maschi con i livelli di istruzione più bassi e i soggetti non in coppia. E’ un dato quest’ultimo che fornisce, se ce ne fosse stato bisogno, una specie di controprova dell’importanza del ruolo femminile nell’integrazione. Allo stesso modo, se la principale causa di difficoltà nei rapporti con gli italiani è imputata alla reciproca diffidenza — seguita dalla percezione di ostilità e dalla costatazione di avere poco in comune — le motivazioni più pesantemente negative («diffidenza» e «ostilità ») sono addotte principalmente dagli uomini, mentre le donne sottolineano molto di più la componente di «disinteresse» degli italiani. L’appartenenza religiosa non determina invece differenze particolari.
Al campione è stato anche chiesto di individuare, in una scala di valori, il livello di compatibilità tra le proprie caratteristiche di nazionalità, cultura e religione e quelle italiane. Circa la metà sostiene di avere un livello di compatibilità intermedio («abbastanza»). Nel complesso, tuttavia, la valutazione è molto positiva perché a questo dato va aggiunto quello del 13 per cento degli intervistati che affer ma di avere una compatibilità «elevata ». «Anche sotto questo profilo — afferma la ricerca — la valutazione positiva delle donne è maggiore di quella degli uomini».
Più della metà delle donne intervistate, inoltre, non ritiene di rappresentare un modello che si contrappone a quello della donna italiana. Una percentuale che sale al 60 per cento tra le lavoratrici, che affermano che la diversità si attesta sul livello «del poco» o «per nulla». Sono in prevalenza le donne, inoltre (quasi il 60 per cento del campione), a ritenere la poligamia una pratica offensiva. Gli uomini non prendono una posizione così netta. Al 37% che ne condivide il carattere offensivo segue un 27% che la ritiene «normale», e un 11% che la ritiene addirittura «vantaggiosa» per le donne. Nello specifico del campione dei fedeli mussulmani si evidenzia ancora di più la polarizzazione tra una percezione di «offensività» che è molto maggiore per le donne e una percezione di «normalità » che invece attiene prevalentemente agli uomini. Sul divieto di indossare il velo a scuola per le bambine il campione si divide quasi equamente tra i favorevoli e i contrari e le risposte sono influenzate da livello di istruzione, area geografica di provenienza e religione, e meno dal sesso. Ma il 66 per cento ritiene che la legge italiana non debba stabilire eccezione per le donne adulte con il velo. In questo caso, però, a richiedere l’eccezione sono maggiormente gli uomini, prevalentemente mussulmani, mentre a ritenerlo non necessario sono le donne, senza differenza di condizione lavorativa. Anche la maggioranza delle donne mussulmane è contro un riconoscimento specifico. La scuola, infine: l’80 per cento è favorevole ad una educazione mista, italiani/ stranieri.
L’immagine del nostro Paese presso gli immigrati (che pure già partiva da un 92 per cento di positività) è progressivamente migliorata negli anni. Ma — in base alla ricerca commissionata da «Farefuturo» — sono ancora una volta le donne, soprattutto le lavoratrici, a rappresentare la parte più convinta che il nostro sia ancora il Bel Paese.

Corriere della Sera 13.10.08

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