Di seguito il testo completo agli atti della Camera dell’intervento dell’On. Ghizzoni.
Signor Presidente, Signor Sottosegretario, onorevole relatrice Aprea, colleghi,
l’iter parlamentare del decreto 137 che reca disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, procede verso un destino noto: la sua conversione in legge senza sostanziali modifiche al testo originario o, quanto meno, ai punti sui quali più si è spesa personalmente il Ministro Gelmini e più si è spinta la propaganda mediatica del Governo.
Una conversione in legge sulla quale pende la spada di Damocle della richiesta di fiducia: mi auguro sinceramente di essere smentita rispetto a questa eventualità che, tuttavia, le cosiddette voci di corridoio ben informate danno ormai per certa.
Se così fosse, ci troveremmo di fronte allo scenario decisamente straordinario e inquietante della quinta fiducia richiesta dal Governo in quest’Aula, nonostante esso goda di una maggioranza bulgara, anche se non troppo disciplinata, almeno stando allo scivolone in cui è incappata mercoledì durante il voto sulla riforma del processo civile. Inoltre, tanto per rinverdire la memoria dei colleghi, aggiungo che stiamo convertendo in legge l’ennesimo decreto, il tredicesimo, mentre in questa Aula non è ancora approdata una sola proposta di iniziativa parlamentare.
Perché insisto, con l’intento di stigmatizzarla, sulla scelta del Governo di procedere ancora una volta con lo strumento della decretazione d’urgenza, su cui aleggia la fiducia? Perché, in generale, se il decreto rappresenta un colpo al confronto costituzionale tra opposizione e maggioranza e alle prerogative parlamentari, ciò è ancor più vero e grave se la materia oggetto del decreto è strategica quanto lo è quella dell’istruzione e del sistema scolastico.
Vede Signor Presidente, nel corso del dibattito generale, gli esponenti della maggioranza non hanno mancato di ribadire – non senza mostrare un certo pregiudizio ai nostri rilievi costruttivi – quanto ideologici e pretestuosi fossero gli argomenti di critica avanzati dal Partito Democratico. Ben più benevoli sono stati nei confronti dell’on. Santolini, dell’UDC, la quale non si è comunque sottratta a rimarcare rilievi pesanti alle scelte del Ministro Gelmini. E a proposito della decretazione d’urgenza l’on. Santolini ha pronunciato le seguenti parole, che faccio mie, sperando che la collega non si dispiaccia per la citazione: «Anch’io dirò – e non sono l’unica – che non mi piace un decreto-legge che riguarda la scuola, perché la scuola è una cosa troppo seria per essere blindata da un’intesa tra il Ministro del Tesoro e il Ministro dell’istruzione. Credo che la scuola meriti un rispetto ed un’attenzione infinitamente maggiori di quelle che ad essa sono stati dedicati in questo inizio di legislatura…sono anche d’accordo che non si può fare una riforma di questa portata – perché di riforma si tratta, e non sono piccoli aggiustamenti, bensì autentiche riforme, quelle che sono state messe in campo – senza un serio dibattito in Parlamento e nel Paese, senza un coinvolgimento serio di tutti coloro che sono interessati al comparto della scuola e senza che si cercasse di ragionare tra componenti della scuola e, ripeto, pubblica opinione».
Parole ribadite più volte dal Partito Democratico, ma forse per bocca dell’on. Santolini possono sembrare alla maggioranza più accettabili.
Vede, siamo assolutamente convinti che la scuola meriti tutta la nostra attenzione, tutti i nostri sforzi congiunti per poter assolvere al meglio alla propria missione educativa e d’istruzione.
Il Partito Democratico ha ben chiaro quali interventi siano necessari perché i diversi ordini di scuola possano con serenità, con fiducia, con autonomia, con autorevolezza e con adeguate risorse offrire un sistema educativo e istruttivo di qualità per tutti i giovani che nascono e vivono nel nostro Paese. Ripeto per tutti i giovani, indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali e soprattutto per quanti si trovano in condizioni di svantaggio.
Si tratta di un obiettivo che ci preme, e al quale abbiano teso responsabilmente nella precedente esperienza di Governo. Si tratta di un obiettivo prioritario per il Partito Democratico che non vuole difende lo status quo, ma vuole migliorare e potenziare il sistema di istruzione pubblico. Il Partito Democratico è un partito riformista, consapevole che proprio rispetto alle politiche scolastiche deve dimostrare questo preciso profilo, per il bene della scuola, dei giovani e del Paese.
E proprio a partire dai molti emendamenti modificativi a questo decreto non ci siamo sottratti dal fare proposte, che svelano quanta demagogia e quanti slogan ci siano in questo provvedimento.
La relatrice Aprea l’ha definita una legge di principi e per tale motivo è stata assai parca nell’accogliere emendamenti correttivi, persino dalle file della stessa maggioranza. Ma vede, poiché l’obiettivo ambizioso del provvedimento presentato dal Ministro Gelmini e dal Governo è di dare autorevolezza alla scuola, valore al merito, ristabilire una relazione personalizzata docente discente nella scuola primaria con meno tempo scuola a disposizione, allora il decreto non dovrebbe limitarsi a enunciare presunti principi, bensì dovrebbe possedere una capacità taumaturgica, cosa che credo non rientri nelle disponibilità né del Ministro Gelmini, né del Presidente del Consiglio, anche se immagino che l’eventualità non gli dispiacerebbe.
I pareri tutti negativi espressi dalla relatrice Aprea ai numerosi emendamenti del Partito Democratico sono la testimonianza concreta che nessun apporto delle opposizioni vuole essere accolto dalla maggioranza. Apporti di merito, migliorativi del brutto testo iniziale, come cercherò di dimostrare, ma di cui si è ritenuto di poter fare a meno. Così è stato anche per gli emendamenti presentati in Commissione durante l’esame del provvedimento: due soli emendamenti accolti su gli oltre 50 presentati. Davanti a questi numeri, Signor Presidente, lei crede che l’atteggiamento di chiusura e di indisponibilità al dialogo, che negli ultimi giorni ci è stato spesso rinfacciato, ci appartenga o non sia piuttosto da attribuire alla maggioranza?
Veniamo al merito di alcuni emendamenti proposti dal Partito Democratico e rigettati dalla relatrice.
E inizio proprio all’art. 1, che introduce la sperimentazione di “Cittadinanza e Costituzione”, forse sotto forma di disciplina poiché il testo non lo precisa. Ancora non riesco a comprendere le ragioni del parere negativo espresso dalla relatrice su alcuni emendamenti, ad esempio quelli a firma Mantini e Zaccaria che, peraltro in analogia a quanto previsto dal disegno di legge Gelmini approvato il 1 agosto, qualificano concretamente l’innovazione didattica-formativa del nuovo insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” rispetto al tradizionale e mai abolito studio di educazione civica. I nostri emendamenti prevedono, tra le altre cose, un monte ore da dedicare alla sperimentazione, la definizione dei suoi contenuti in relazione alle discipline affini e la determinazione di un fondo per l’acquisto di apposito materiale didattico. Questo perché noi crediamo, insieme al Presidente della Repubblica, che la Costituzione rappresenti la base del nostro stare insieme, pertanto sosteniamo convintamente lo studio dei valori sanciti nella Carta Costituzionale – da porre a sfondo di tutti i campi disciplinari – per l’esercizio della cittadinanza attiva caratterizzata da diritti e doveri, per l’esercizio della convivenza civile, del principio di legalità, di partecipazione, di corresponsabilità. Personalmente, auspico che tale apprendimento avvenga il più velocemente possibile: in questo modo i giovani italiani avranno le necessarie conoscenze, ad esempio, per indignarsi del continuo ricorso del Governo ai decreti pur in assenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza previsti dall’art. 77 della Costituzione e conseguentemente del pericoloso squilibrio tra il potere legislativo e quello esecutivo, con evidente vantaggio per il secondo.
Signor Presidente, e concludo questo punto, esprimiamo perplessità sulla genericità e laconicità dell’art. 1 che, ad esempio, non mette un solo euro a disposizione e non declina le modalità dell’insegnamento, che non dovrà essere interpretato in forma nozionistica. Temiamo, in sintesi, che queste carenze vanifichino fin dal suo avvio l’obiettivo della sperimentazione stessa.
Sull’art. 2 mi soffermerò brevemente, poiché interverrà la collega Picierno, se non per ribadire lo stupore per l’inspiegabile parere negativo posto all’emendamento modificativo Picierno e ai più sintetici ma ugualmente significativi emendamenti Cuperlo e Pizzetti, così come quelli Gatti e Melis, ispirati dalla volontà di inserire la valutazione del comportamento degli alunni all’interno di un patto educativo tra famiglia, studenti e tutta la comunità scolastica. Il rifiuto di inserire nella norma il richiamo al patto educativo che si fonda sul coinvolgimento diretto degli studenti e dei genitori pare tradire l’intenzione del legislatore di rafforzare gli strumenti punitivi rispetto a quelli educativi. In questo caso, il rischio è di introdurre uno strumento inefficace, che magari può consentire a qualcuno di mettersi la coscienza in pace, ma destinato a fallire completamente nell’obiettivo di consentire alla scuola, insieme alla famiglia e alla società intera, di educare i giovani al rispetto delle regole della convivenza, al senso di responsabilità, alla legalità, all’assunzione di rapporti e comportamenti corretti, ispirati al rispetto di sé e degli altri. Lo sappiamo tutti, per contrastare bullismo e atti di prevaricazione non serve il cinque in condotta. È necessario invece che l’intera vita scolastica diventi un’esperienza di partecipazione, di cittadinanza attiva, di legalità, così che lo sia anche la vita fuori dalle aule scolastiche.
Altrettanto inspiegabile poi il diniego ad acquisire sul decreto del ministero che specificherà i criteri per correlare la gravità del comportamento al voto insufficiente il parere del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, proposto da Codurelli, o quello della Commissioni competenti parlamentari, suggerito dall’emendamento Scarpetti. In particolare, su questo ultimo aspetto, mi meraviglio molto per il mancato accoglimento da parte della relatrice Aprea, che nei 20 mesi del Governo Prodi ha condotto una personale battaglia per l’acquisizione, in analoghe situazioni, del parere delle Commissioni parlamentari. Una battaglia da lei spesso vinta, ma ora evidentemente, in quanto esponente di maggioranza, non la reputa più così importante.
In merito all’art. 3 che reintroduce la valutazione degli apprendimenti in decimi, ritengo che i molti emendamenti presentati dal Partito Democratico affrontino nel merito, e senza pregiudizio, il problema della valutazione, che non risiede tanto nella forma utilizzata (sistema numerico, alfabetico, giudizi sintetici o analitici), quanto nella chiarezza dei criteri valutativi e degli esiti di apprendimento da perseguire e soprattutto, nelle capacità dei criteri scelti di comunicare agli studenti e alle famiglie i significati reali degli esiti raggiunti. In altre parole, una buona valutazione dipende dai significati reali che sottendono un voto o un giudizio, dall’assenza di ambiguità interpretativa per lo studente (e la famiglia) che dal voto o dal giudizio deve trarre una precisa indicazione formativa per l’attività di studio svolta e quella che dovrà svolgere. Insomma, il tema della valutazione è serio, e va affrontato senza improvvisazioni, soprattutto in un Paese, come il nostro, nel quale la cultura valutativa non è diffusa.
Invece, la semplicistica reintroduzione del voto come prevista dall’art. 3 appare un intervento estemporaneo, inadeguato a migliorare il sistema scolastico e a premiare il merito.
Signor Presidente, le pare possibile che sostituendo nella pagella, o documento di valutazione, che le sto mostrando i giudizi sintetici con un voto numerico espresso in decimi, come recita la nuova disciplina, si possa realmente cambiare la scuola e premiare i migliori?
Dicevo, che abbiamo presentato diversi emendamenti per conseguire una buona valutazione nel significato che ne ho dato prima: naturalmente nessuno di questi è stato accolto. Analoga sorte alle molte proposte abrogative e correttive al contestato comma 3, quello che prevede la bocciatura con l’insufficienza in una disciplina. La relatrice ha accolto due emendamenti che introducono il giusto concetto di collegialità nella decisione di ammissione all’anno successivo, presentati dalla Lega solo a seguito della battaglia del Partito Democratico svolta in commissione. Alcuni nostri emendamenti, ad esempio quello Pompili, pur con una diversa formulazione hanno lo stesso obiettivo, ma l’on. Aprea ha ovviamente accordato le sue preferenza ai colleghi di maggioranza. Nei nostri emendamenti, ad esempio in quello a firma Lenzi, abbiamo anche previsto forme di recupero delle carenze e di potenziamento degli apprendimenti di base, in analogia a quanto accade alle scuole superiori per scelta del precedente Governo, ma non abbiamo raccolto l’interesse della relatrice.
Ci rammarichiamo, naturalmente, per questi dinieghi, così come per il parere negativo, davvero incomprensibile, attribuito all’emendamento Tocci che nasce da una riflessione approfondita sulla valutazione degli apprendimenti e sulla certificazione delle competenze. In esso si prevedono, infatti, attività di ricerca e di formazione degli insegnanti per giungere alla definizione condivisa di standard e l’intervento dell’Invalsi per diffondere una cultura della valutazione orientata al miglioramento e all’armonizzazione dei risultati scolastici sull’intero territorio nazionale. Insomma, un emendamento importante che, se approvato, permetterebbe di cominciare a fissare alcuni punti fermi su quali criteri, con quali modalità e secondo quali indicatori valutare gli apprendimenti conseguiti dagli studenti rispetto ai risultati attesi. Insomma, un emendamento per fare buona valutazione che permetterebbe, quella sì, di migliorare la scuola e conseguentemente la preparazione dei nostri ragazzi.
Signor Presidente, dedico la parte finale del mio intervento all’art. 4 che reintroduce – le faccio notare, Signor Presidente, che il termine “reintroduzione” ricorre come un ritornello nel presente provvedimento, che rappresenta davvero un rassicurante quanto inutile e dannoso ritorno al passato – dicevo reintroduce il maestro unico nella scuola primaria e la riduzione del tempo scuola a sole 24 ore settimanali di insegnamento.
A questo tema sono stati dedicati molti interventi dei colleghi in discussione generale, che hanno esposto le ragioni del nostro pieno dissenso al maestro tuttologo e al tempo scuola decurtato, argomentandolo con dati di indagini nazionali e internazionali, con esperienze personali di madri e padri, con gli esiti di incontri avuti con docenti e dirigenti scolastici, pedagogisti e pedagoghi e con le valutazioni che ci hanno affidato le 49 associazioni ascoltate in VII commissione cultura nel corso di una lunga e appassionante audizione informale. Di essa restano le memorie redatte dalle associazioni, ricche di riflessioni, suggerimenti, considerazioni, purtroppo inascoltate dal Governo e dalla maggioranza. Infatti, rispetto all’articolo 4 sono ben 19 le associazioni e organizzazioni che danno un giudizio pessimo, 11 sono quelle che esprimono un giudizio cattivo, mentre 10 non hanno espresso valutazioni perché interessate ad altri aspetti del provvedimento; solo 2 danno un giudizio ottimo e 7 un giudizio buono, pur esprimendo riserve e condizioni, in particolare rispetto alla necessità di prevedere non un maestro unico, bensì “prevalente”, accompagnato da docenti esperti per l’insegnamento della Religione Cattolica, dell’inglese, di informatica, di scienze motorie, tutti insegnamenti che si sommano alle 24 ore di base. Ma allora, mi chiedo, queste associazioni pensano ad un modello che si avvicina di più al vostro maestro unico e alle 24 ore comprensive dell’insegnamento di Religione Cattolica e inglese, oppure si ispirano al tradizionale modulo – molto utilizzato in Friuli – che prevede nel team di tre docenti con un maestro prevalente su un tempo scuola di 27/30 ore?
Vede, dalla considerazione appena esposta, e da quelle dei colleghi che mi hanno preceduta, credo sia ormai chiaro a tutti – soprattutto a coloro che hanno voglia di ascoltare e confrontarsi – che il dissenso espresso in questa aula dal Partito Democratico è un dissenso di merito e non ideologico, poiché ciò che principalmente muove il Partito Democratico sono i livelli di apprendimento dei bambini e il miglior modello didattico ed educativo da offrire ai giovani. Si tratta di obiettivi che abbiamo perseguito anche nella precedente esperienza di Governo, durante la quale siamo riusciti a coniugare il risanamento dei conti pubblici con il principio dell’equità sociale e degli investimenti nei settori strategici per la crescita e l’innovazione del Paese. Possiamo dire che l’attuale Governo, che ha presentato il decreto, e la maggioranza che lo sostiene abbiano gli stessi obiettivi? Io non credo, soprattutto dopo che mercoledì scorso ci è stato consegnato ufficialmente il piano programmatico, previsto dall’art. 64 del decreto 112, degli interventi volti alla razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali del sistema scolastico. Una ardita circonlocuzione per non dire dove e come operare i tagli previsti dalla manovra estiva. Pesantissimi tagli che metteranno in evidenti difficoltà la funzionalità della scuola pubblica e negheranno l’immissione in ruolo per migliaia di docenti precari, che da anni assolvono al loro compito di docenti.
Nella tabella a pag. 14 del Piano, le riduzioni per il prossimo anno scolastico di organico nella scuola primaria sommano a ben 10.000 docenti, a cui si devono aggiungere 4.000 insegnanti specialisti di lingua inglese; l’anno successivo (2010/2011) la riduzione sarà di altri 4000 docenti e 3900 specialisti di inglese. A questi ultimi se ne aggiungeranno altri 3300 nell’a.s. 2011/12. E, a fronte di questi numeri, il ministro continua a rilasciare dichiarazioni rassicuranti sul fatto che il maestro non sarà unico, perché accompagnato dallo specialista di inglese? Ma chi volete prendere in giro, se la riduzione del loro organico sarà di ben 11200 posti!
Credo sia chiaro a tutti, colleghi, che il Governo raggiungerà questi obiettivi solo se sarà introdotto il nuovo/vecchio modello del maestro unico a 24 ore.
E a questo punto si chiarisce anche perché in Commissione Cultura (e per sapere cosa accadrà in Aula dovremo attendere la prossima settimana) relatrice e Governo si siano opposti alla nostra richiesta, a cui si era associata anche la Lega, di modificare il comma 1 lì dove si prevede che le istituzioni scolastiche “costituiscano” classi affidate ad un unico insegnante con un “possano costituire”, che risulterebbe peraltro in sintonia con quanto scritto nella relazione tecnica allegata al decreto. Ma è chiaro che se il testo normativo esplicitasse chiaramente l’opzione e non la condizione, vi salterebbero tutti i conti! Ma abbiate almeno il coraggio di dirlo, e non trinceratevi più dietro alla stucchevole litania di un ampliamento opzioni educative messe a disposizione delle famiglie. Nominalmente il Piano programmatico fa riferimento al modello a 24 ore, da privilegiare, e a quelli a 27, 30 e 40 ore (il tempo pieno): peccato che nel Piano vi sia anche scritto che la più ampia articolazione del tempo scuola prenderà in considerazione le richieste delle famiglie, ma soprattutto dovrà tener conto della dotazione organica assegnata alle scuole. Ma se l’organico delle primarie viene decurtato, quali opzioni potranno mai offrire le istituzioni scolastiche?
Semmai avessimo bisogno di altre prove circa le motivazioni ragionieristiche che, di punto in bianco, hanno imposto nel dibattito parlamentare il maestro unico, avremmo gioco facile nel rintracciarle nelle dichiarazioni dello stesso Ministro Gelmini, che a fine luglio asseriva ad una nota trasmissione radiofonica: «le elementari sono un ciclo scolastico che funziona, lo dicono anche i dati OCSE-PISA, e quindi mi auguro che non sarà necessario tornare al maestro unico». Evidentemente cosa sia intervenuto tra fine luglio e fine agosto per far cambiare idea al Ministro gelmini così repentinamente e radicalmente lo sa solo il ministro Tremonti. Più di recente, e con un’onestà intellettuale che le fa certamente onore, Valentina Aprea ha dichiarato “Ammetto che misure come la riduzione dell’orario (specialmente alle elementari) sono dovute a ragioni di bilancio, ma purtroppo non possiamo più permetterci una scuola come quella che abbiamo avuto fino ad oggi”. Mah, questo è un convincimento del centro-destra, perché nei 7 anni di Governo del centro-sinistra si è riusciti a mantenere a buoni livelli la spesa per l’istruzione senza compromettere i bilanci dello Stato. Evidentemente è una vostra precisa volontà ridurre e tagliare risorse in questi specifico e strategico settore!
Se l’on. Aprea dice la verità – e non abbiamo motivo di credere il contrario poiché si tratta di una verità scomoda – perché nei banchi del Governo non siede il ministro del dell’Economia? E se, come abbiamo dimostrato, l’obiettivo è far cassa a discapito della scuola primaria, cioè del futuro dei nostri ragazzi e del Paese, perché nei loro interventi il Governo e i colleghi della maggioranza si sono scomodati a cercare motivazioni didattiche-pedagogiche, quali ad esempio che un solo maestro stabilirebbe una migliore relazione individuale con l’alunno (in una classe di trenta?) e potrebbe finalmente rappresentare (data la disattenzione delle famiglie e della società intera) un punto fermo nello sviluppo cognitivo e nel progresso educativo dei bambini?
Un po’ di onestà intellettuale, quella stessa di Valentina Aprea, certo non guasterebbe. Ed è quella che abbiamo cercato di mettere nei nostri emendamenti tra i quali figura ovviamente l’abrogativo dell’articolo 4, ma ve ne sono anche di modificativi che potremmo definire di “riduzione del danno”. Perché vede, Signor Presidente, non temiamo alcun confronto, vogliamo davvero discutere della scuola e della scuola primaria, e sarebbe buona cosa farlo tenendo presente un passaggio del discorso del Presidente della Repubblica, pronunciato all’avvio ufficiale dell’anno scolastico. Si tratta di un passaggio oscurato da molti quotidiani e per questo motivo vale la pena riprenderlo: «per quanto riguarda la scuola l’obiettivo di una minore spesa non può prevalere su tutti gli altri e va formulato, punto per punto, con grande attenzione ai contenuti e ai tempi, in un clima di dialogo». Un dialogo che sarebbe stato opportuno avviare sulla scorta di un secondo monitoraggio della legge Mattarella a più di 15 anni dalla sua introduzione e alla luce dell’autonomia attribuita alle scuole e a fronte di investimenti nella formazione degli insegnanti per la valutazione. Questi spunti sono presenti nei nostri emendamenti: avrà la maggioranza, la forza e il coraggio di confrontarsi con queste proposte? Me lo auguro, perché se così non fosse dovremo aspettarci giorni tristi per la scuola pubblica italiana, per i nostri bambini, per il nostro Paese.
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