«Il candidato presenta una preparazione scientifica di elevata qualità e con un buon livello di originalità», spiega lo stile burocratico delle valutazioni nei concorsi universitari. «Ma la cattedra può scordarsela» aggiunge, con il linguaggio più brutale dei numeri, la realtà dell’università italiana. Che all’appuntamento con il blocco del turn-over introdotto dalla manovra d’estate arriva obesa di vincitori di concorsi, in cerca di un posto che l’accademia non può offrire. I numeri, appunto, non ammettono repliche, e spiegano che l’anno prossimo le università potranno sostituire solo il 20% del personale che va in pensione. In pratica, vista la massa di concorsi effettuati dagli atenei nel 2007 e nella prima sessione del 2008, solo 8 posti ogni 100 si tradurranno in una cattedra reale: senza contare il sistema della doppia idoneità, cioè la possibilità di creare due vincitori per ogni posto da professore bandito, che se seguita diffusamente (com’è accaduto fino ad ora) abbasserà le già risicate chanche di tradurre in carriera la vittoria già ottenuta sul campo. «In queste condizioni – conferma Enrico Decleva, presidente della Conferenza dei rettori – non si sa come i concorsi possano dare luogo a una presa di servizio».
Alla base del problema c’è la tagliola del blocco del turn over, arrivata con la manovra di fine giugno, che ha ridotto a un quinto le possibilità per gli atenei di aprire le porte a nuovi ingressi. Ma i conti dell’Accademia navigano in acque agitate ormai da tempo, anche se i ripetuti allarmi sulla sostenibilità dei bilanci non sembrano aver attenuato la bulimia concorsuale: tra il 2007 e la prima metà del 2008 sono stati messi in palio 5.204 posti. L’anno prossimo, stimando gli esodi in base alle uscite 2007 (aumentate del 25% per il progressivo esaurimento del “fuori-ruolo”, che ora si è ridotto a due anni), le università potranno offrire poco meno di 400 posti. L’8% di quelli banditi, e la percentuale si dimezza al 4% guardando solo al panorama degli atenei non statali. L’ondata dei concorsi si è prodotta anche in atenei con i conti già in forte emergenza, come accade ad esempio a Cassino e L’Aquila. Entrambi gli atenei viaggiano hanno già oggi spese di personale intorno alla soglia massima del 90% sul fondo ordinario, ma hanno creato una quarantina di nuovi posti “fantasma” a testa. Ci sono poi casi di piccoli atenei, come Enna, che in un anno e mezzo ha messo a bando 74 posti, senza nessuno spazio per accoglierli.
Nella massa dei posti promessi dai concorsi, 3.327 sono nuovi ingressi di ricercatore (quasi tutti nelle sessioni del 2007, anche grazie agli incentivi disposti dall’allora ministro Fabio Mussi) e 1.877 promozioni ad associato o ordinario: queste ultime rappresentano l’88% dei bandi 2008, valgono come nuove assunzioni e la loro prevalenza rischia di chiudere a lungo l’accesso di ricercatori.
Una parte marginale di questi concorsi si è già trasformata in un posto, sfuggendo in extremis alla stretta del Dl 112, ma all’appello manca ancora tutta la seconda sessione 2008, che si svilupperà nei prossimi mesi (e promette di essere meno pletorica delle precedenti, anche per il tramonto della possibilità di creare i doppi idonei). «La razionalità spiega Decleva avrebbe imposto di bandire i concorsi solo dopo la riforma del sistema, invece siamo andati avanti per troppo tempo con una riforma inapplicabile». Ora la riforma dei concorsi torna sul tavolo, e per il presidente della Crui è l’occasione per ridiscutere tutto: «Si può determinare un largo accordo su un sistema in due fasi: la valutazione nazionale della qualità scientifica, che garantisce maggiore trasparenza, e una selezione locale in base alle scelte autonome degli atenei. In questo quadro, che riguarda anche la strategia sugli ordinamenti accademici, occorre però recuperare le risorse tagliate, altrimenti il sistema si blocca e qualsiasi riforma è lettera morta».
Anche l’università, insomma, si accoda a quanti chiedono di rivedere i termini della manovra d’estate, finora difesi a spada tratta dal ministero dell’Economia. Nell’attesa, comunque, ogni ateneo deve prepararsi agli effetti dell’ingorgo di aspiranti a cattedre che non ci sono. In qualche caso, come Cagliari, Parma, Trieste o Pisa, il numero dei concorsi in rapporto alle uscite si è tenuto basso, e il problema appare più contenuto. Ma in più di 40 atenei statali, e in tutte le non statali, il rapporto fra posti disponibili e vincitori di concorso è sotto il 10% e promette scintille. Senza contare che la «regola del 20%» abbraccia tutti, compresi i tecnici e gli amministrativi, che vedono circa 2mila pensionamenti all’anno e rappresentano quasi il 30% delle spese per il personale, con picchi intorno al 45% allo Iusm di Roma, alla Seconda università di Napoli e a Palermo. Con la stessa regola per tutti, ciò che si toglie ai docenti va ai tecnici, e viceversa, e in molti atenei un braccio di ferro fra le due categorie appare più che probabile.
Il sole 24 ore 22.09.08
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