Intervista di Massimo Solani
«Non si può pensare di colpire chi esercita la prostituzione, anche se sotto costrizione». Silvia Della Monica oggi è senatrice del Pd, ma nella scorsa legislatura ha guidato il Dipartimento per le Pari Opportunità, lavorando per mesi sui temi della prostituzione.
Senatrice, secondo molti il governo nasconde la polvere sotto al tappeto.
«Fosse solo una operazione di lifting si potrebbe anche accettare, ma qua il problema è ben diverso. Nella stragrande maggioranza dei casi la prostituzione nelle strade è di origine coatta, e spesso vede coinvolte minorenni. Così si introduce un nuovo reato e si sposta tutto negli appartamenti senza fare distinzioni fra chi lavora volontariamente, chi è vittima di sfruttamento e chi invece della tratta degli esseri umani. Tutti fuori legge: si dovrebbe lavorare per fare emergere il fenomeno e invece il governo fa l’opposto».
Molte delle prostitute sono immigrate irregolari. Non trova disumano questo doppio livello di illegalità? Clandestine in Italia e in più criminali perché costrette a vendersi in strada.
«Da una parte si colpisce la prostituzione volontaria, che nel nostro ordinamento non era mai stata toccata. Dall’altra si finisce per scaricare ancora più rischi sull’anello più debole della catena, che non può ribellarsi e non può mai scegliere del proprio destino».
Nella scorsa legislatura si lavorò molto sul tema, e oggi i risultati di quel lavoro sono confluiti in un disegno di legge che lei ha riproposto. Su quali linee si muove?
«È il frutto di un lavoro fatto in collaborazione con l’allora sottosegretario all’Interno Lucidi e con il ministero della Solidarietà Sociale Ferrero. Una rivisitazione complessiva della disciplina sulla prostituzione che parte dall’esigenza di distinguere quella esercitata in maniera volontaria da quella invece sotto sfruttamento.
Dovendo prendere atto della mutata percezione di insicurezza dei cittadini e di alcuni fenomeni di prostituzione nelle strade che destano allarme, si prevedono tavoli di concertazione con enti locali e associazioni per l’individuazione di luoghi adatti o meno all’esercizio tenendo ben in mente la necessità di far emergere il fenomeno e di recuperare le persone sottoposte a sfruttamento».
L’Unità, 12 Settembre 2008
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