Le uscite della Gelmini e di La Russa ci hanno costretto a dedicarvi un ampio spazio. Pertanto, con un po’ di ritardo, diamo conto di cosa pensa veramente l’Europa sulle misure anti-rom di Maroni.
“NON ESISTE una «presa di posizione della Commissione Ue» sulle misure anti-rom del governo italiano. Esiste solo una lettera che il commissario alla Giustizia Jacques Barrot ha scritto al ministro Maroni. Sono i contenuti di questa missiva sconosciuta quelli che sono stati anticipati giovedì da Michele Cercone, portavoce dello stesso Barrot, accendendo il tripudio del centrodestra e i titoloni dei giornali. Ma una lettera, della quale neppure lo stesso ministro ha mostrato di essere a conoscenza, non è un giudizio politico dell’esecutivo brussellese: è l’iniziativa di un singolo commissario, sia pure importante e attualmente in carica come uno dei 5 vicepresidenti della stessa Commissione. Per il resto la partita tra Roma e Bruxelles è ancora tutta da giocare. Mentre dagli uffici dell’altro commissario interessato alla questione, il responsabile degli Affari sociali Vladimir Špidla, fanno sapere che per quanto li riguarda non c’è alcuna novità (il che è un modo elegante per prendere le distanze da Barrot), proprio ieri si è saputo che la commissione Libertà civili, Giustizia e Affari interni dell’europarlamento ha chiesto a Barrot di riferire martedì prossimo sulla vicenda e sul senso del suo giudizio, che contrasta in modo del tutto evidente con la risoluzione che l’assemblea aveva approvato a larga maggioranza (e con i voti di non pochi esponenti del Ppe) il 10 luglio scorso. Fino a martedì, dunque, non esiste nulla di ufficiale né della Commissione né del suo vicepresidente. Anche perché, a quanto pare, Barrot si sarebbe rifiutato di anticipare ai deputati la sostanza della sua «comunicazione» come molti di loro avevano chiesto per poter, almeno, cominciare a farsene un’idea. Intanto, il presidente della commissione parlamentare, il deputato liberale belga Gérard Duprez, ha organizzato, dal 18 al 20 settembre, una visita a Roma, nell’ambito della quale ha chiesto un colloquio ufficiale con il ministro Maroni e con i presidenti di Camera e Senato e ha previsto una ricognizione nei campi rom e una serie di incontri con le comunità che vi vivono. Conoscendo Duprez, un uomo molto attento al rispetto dei diritti civili, la tournée italiana si annuncia pepata.
Insomma, la «soddisfazione» del capo del Viminale, dei suoi colleghi e del suo capo per l’«assoluzione» di Bruxelles rischia di essere quanto meno prematura. Anche perché l’operazione «Salvate il soldato Maroni», che ha avuto per teatro nei giorni scorsi Roma, Bruxelles e con ogni probabilità Parigi ed è, a quanto pare, ancora in corso, rischia infatti di essere compromessa da una delle solite gaffe in cui il ministro è solito tuffarsi con gioiosa inconsapevolezza. Giovedì, nella sua dichiarazione sul placet del vicepresidente della Commissione, Cercone aveva testualmente affermato che «la collaborazione con il governo italiano ha permesso di correggere ogni disposizione o misura che poteva essere contestabile (“corriger toute disposition ou mesure qui pouvait être contestable”). Detto in buon italiano questo significa che alla Commissione di Bruxelles è arrivato dal governo italiano un testo, che questo testo è stato giudicato insufficiente in materia di salvaguardia dei diritti civili, che quindi è stato rimandato indietro e che da Roma ne è arrivato uno nuovo «non discriminatorio». Maroni, invece, ha sostenuto, in almeno due diverse occasioni, che il 1° agosto ha inviato sic et simpliciter il testo dell’ordinanza (quella contestatissima) e che è quindi l’ordinanza in quanto tale ad aver ricevuto la benedizione di Bruxelles. Evidente il perché della bugia: il ministro leghista non vuole fare la figura di chi si rimangia le sue sparate, dopo aver cavalcato con tanto gusto la demagogia del duro zerotollerante.
Sollecitato a spiegare l’aporia, il portavoce di Barrot ha dovuto ammettere che sì, in effetti, il governo italiano il 1° agosto, alla terza (leggasi: terza) richiesta di «spiegazioni» inviata dalla Commissione, ha inviato il «testo legislativo» dell’ordinanza accompagnato, però, da una relazione interpretativa sulla sua applicazione e dalle linee-guida. È su queste che Maroni ha «addolcito» talmente le proprie posizioni da non poterlo ammettere oggi, tant’è che ha imposto un segreto assoluto (e altrimenti inspiegabile) al vero testo della sua comunicazione del 1° agosto. Esattamente quello che hanno sostenuto, ieri, molti esponenti della sinistra e questo giornale.
Resta da indagare come e da chi – il perché è ovvio – è stata messa in moto l’operazione «salvare Maroni». Jacques Barrot proviene dalle file del centrodestra francese, milita nell’Ump del presidente Sarkozy e ha avuto in tempi recenti una intensa frequentazione con il centrodestra italiano. È stato quando la «chiamata» a Roma di Franco Frattini lo ha portato ad assumere i suoi incarichi, commissario alla Giustizia e vicepresidente, lasciando ad Antonio Tajani il posto di commissario ai Trasporti, in un complicato negoziato che si è dipanato tra Roma, Bruxelles e Parigi e al quale non sono rimasti estranei due dossier fondamentali: l’Alitalia, che già occupava la mente di Berlusconi con la necessità di assicurarsi un parrinage nella Commissione, e l’inizio delle grandi manovre per la nomina dei successori di Barroso, dei 27 commissari e, ovviamente, dei vicepresidenti, il cui mandato scadrà a novembre dell’anno prossimo. Di una «calda raccomandazione» di Sarkozy a Barrot, perché non maltrattasse troppo il ministro di Roma, si era parlato a Bruxelles e a Parigi già il 7 luglio scorso, quando Maroni tornò trionfante da Cannes, dove lo aveva incontrato, sostenendo che tutto era stato «chiarito». Sarà stata la prima «raccomandazione»? E, soprattutto, l’ultima?”
di Paolo Soldini L’Unità 06.09.2008