Inutile navigare nel blog di Beppe Grillo, cercare novità tra gli scaffali delle librerie, sfogliare le pagine del Corriere della Sera, che ha dedicato nei mesi scorsi fior di articoli ed editoriali all’argomento, o di Libero, che ancora un paio di settimane prima delle elezioni pubblicava a puntate l’inchiesta «Papponi di Stato». Da che al governo c’è Berlusconi, «La casta» (sottotitolo «Così i politici italiani sono diventati intoccabili», maggio 2007, Rizzoli, dei giornalisti del “Corsera” Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella) è scomparsa, si è come volatilizzata.
Dall’aprile scorso l’Italia non è più quella «Sprecopoli» (novembre 2007, Mondadori, dei giornalisti del “Giornale” Mario Cervi e Nicola Porro) che in tanti hanno per mesi denunciato. E tutti gli «Impuniti» (sottotitolo «Storie di un sistema incapace, sprecone e felice», novembre 2007, Baldini Castoldi Dalai, del giornalista di “Repubblica” Antonello Caporale) sono stati finalmente puniti. Punto primo: è veramente così? Punto secondo: se non è veramente così, perché questo silenzio dopo la sbornia anticasta, con generosi spruzzi di antipolitica, a cui si è assistito tra la primavera dell’anno scorso e quella di quest’anno?
Intanto, i costi della politica non si sono drasticamente ridotti come potrebbe far supporre la repentina uscita di scena dell’argomento. È vero che nel «Rapporto conclusivo sull’attuazione del programma di governo» figurano tra i principali provvedimento approvati nella scorsa legislatura la riduzione del 20% delle diarie per le missioni all’estero, del 30% del trattamento economico di ministri e sottosegretari, del 10% della spesa per incarichi di dirigente generale, la norma che soltanto nei comuni con più di 250 mila abitanti possono essere costituite le circoscrizioni e quella per cui le amministrazioni pubbliche statali che hanno il controllo di società devono ridurre i componenti di organi societari e eliminare i gettoni di presenza.
Ma è difficile pensare che sia per qualche merito del governo Prodi che si sono votati al silenzio grilli vari e giornali più o meno ad esso ostili. E poi, solo per citare alcuni degli argomenti più in voga fino a qualche mese fa, il “Palazzo” continua a occupare a prezzi altissimi sempre più edifici nel centro di Roma, le Regioni mantengono ancora ambasciate all’estero, i parlamentari possono sempre contare con poco sforzo su pensioni d’oro, il numero dei consiglieri e degli assessori comunali e regionali non è calato, né è diminuito il peso delle aziende controllate dalle amministrazioni locali.
E però, se così stessero le cose, se tutto fosse uguale a prima, si spiegherebbe il silenzio sulla «casta»: non c’è notizia. Ma non è così. Cesare Salvi, che un anno e mezzo prima del successo editoriale di «La Casta» aveva scritto insieme a Massimo Villone «Il costo della democrazia» (Mondadori) guarda sbalordito alla bozza Calderoli sul federalismo: «Ma come, viene considerato soggetto costituzionale, titolare di imposizione fiscale, un ente che tutti dicevamo da abolire come la Provincia?». Effettivamente, sull’inutilità di tale amministrazione e sull’elevato costo per i contribuenti (oltre 120 milioni l’anno solo per le cariche elettive, oltre due miliardi per gli stipendi dei dipendenti, si erano premurati di informarci in «Sprecopoli») si erano pronunciati in molti, nel centrodestra, a cominciare da Silvio Berlusconi («bisogna abolire le Province», disse a febbraio durante una puntata di Matrix). Oggi si scopre non solo che questo ente non va abolito ma che, in base al disegno di legge sul federalismo, viene costituzionalizzato come soggetto che può imporre una tassa sulla circolazione dell’auto e un’accisa sui carburanti. Nuovi balzelli, nuove proteste? Macché, silenzio. «È innegabile che ci sia un diffuso consenso di opinione nei confronti di questo governo – dice Salvi – ma non si era mai visto un conformismo mediatico del genere. E l’opposizione non sta facendo battaglia su questo argomento». Il centrosinistra non l’ha fatta neanche ai tempi d’oro della “Casta”, perché sa che un conto è ragionare sul rapporto tra costi ed efficienza della politica, un conto dar fiato all’antipolitica, che tradizionalmente ha sempre portato consensi al centrodestra. Ma gli altri? Giornalisti, commentatori, predicatori?
E dire che il materiale non mancherebbe. Prendiamo il capitolo de «La casta» «Prodigi: in volo 37 ore al giorno». Il governo Prodi aveva approvato una norma per cui soltanto il presidente della Repubblica, i presidenti di Camera e Senato e il presidente del Consiglio potevano usare i voli di Stato e solo per motivi istituzionali; i ministri, per usufruirne, dovevano invece dimostrare che non c’erano voli di linea utilizzabili. Norma abrogata quest’estate dal governo Berlusconi, nella pressoché totale indifferenza. Oppure prendiamo il capitolo «Come puntare un euro e vincerne 180», dedicato ai rimborsi elettorali ai partiti. Grazie a una norma approvata dal precedente governo Berlusconi, i rimborsi vengono elargiti fino al 2011 non solo ai partiti che sono oggi in Parlamento, ma anche a quelli presenti nella passata legislatura. Ma anche in questo caso, quando dopo la caduta del governo Prodi il centrosinistra chiedeva un governo istituzionale per approvare le riforme necessarie e il centrodestra gridava al voto al voto, non si è sollevato un gran clamore.
Trattazione a parte merita la questione delle consulenze negli enti pubblici, a cui Stella e Rizzo hanno dedicato il capitolo «Sa tutto di carceri. Commercia pesce!». E a cui Renato Brunetta ha dedicato una battaglia che non è sua. Il ministro della Funzione pubblica, oltre che alla crociata contro i «fannulloni», oggi diventati il bersaglio principale come un anno fa era «la casta», si sta dedicando a quella che viene definita «Operazione trasparenza». A giugno è arrivato a rendere nota la lista delle amministrazioni pubbliche che non hanno comunicato l’elenco delle consulenze attivate nel 2006. Il ministro ha avvertito: chiunque non rispetta gli obblighi di trasparenza e informazione non potrà conferire nuovi incarichi. «La mannaia di Brunetta», ha titolato qualche giornale entusiasta del taglio ai costi della politica. È così?
«Brunetta si sta vendendo ciò che abbiamo fatto noi», spiega l’ex ministro per l’Attuazione del programma Giulio Santagata. «È nella Finanziaria che abbiamo approvato l’anno scorso che tutte le consulenze devono comparire sul sito del ministero. E anche la norma che prevede che finché non viene data pubblicità all’incarico l’ente non riceve i soldi per pagare i consulenti». È a lui che Prodi aveva affidato l’incarico di scrivere un disegno di legge sulla riduzione dei costi della politica. «Era stato creato un clima insostenibile, che ha influenzato gente di destra come di sinistra. Quando andavo alle iniziative pubbliche sapevo in partenza che mi sarei trovato sul banco degli imputati». Come quando andò alla Festa dell’Unità di Bologna, qualche giorno dopo che un quotidiano aveva scritto che a metterle in fila una davanti all’altra con le auto blu si arrivava sulla luna, e lui quasi a dover giurare a una platea diffidente: «Sapete quante sono le auto blu? Meno di 500». Chi lo sa oggi quante sono le auto blu? Nessuno lo dice, nessuno lo chiede. Perché? «Un po’ per l’immagine salvifica di Berlusconi – dice Santagata – che rende quasi inutile occuparsi di questi problemi. Ma c’è anche un po’ di stanchezza tra i nostri, stanchi della politica e stanchi quindi anche di occuparsi della qualità della medesima. Brutto segnale, per entrambi gli aspetti».
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