DALLA FESTA DEL PD di Firenze piovono bordate sul ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Sui tagli alla scuola annunciati dal governo e sul «sabotaggio» delle elementari non c’è traccia di dialogo, ma un’opposizione intransigente, che pensa anche all’ostruzionismo. «Da qui parte un’offensiva, la scuola diventare l’ossessione del nostro Paese, dobbiamo andare all’arrembaggio», annuncia il ministro ombra Maria Pia Garavaglia durante l’iniziativa «Salva la scuola, salva l’università, salva la ricerca», benedetta da Veltroni che nella sua intervista serale ha messo la scuola al primo punto nella campagna d’autunno del Pd.
Tutti contro la Gelmini, dunque. Pierluigi Bersani chiede le sue dimissioni per la nota vicenda del concorso da avvocato sostenuto a Reggio Calabria: «Non può pretendere di fare il ministro dell’Istruzione, non ha credibilità per rivolgersi ai giovani. Da quale pulpito arrivano le prediche sul merito e il valore delle persone, degli studenti, degli insegnanti. Ci vuole coerenza tra parole e fatti». «Predica bene e razzola male», va all’attacco la giovane ministra ombra Pina Picierno che giudica «una follia» il 7 in condotta.
Ma qui a Firenze è chiaro a tutti che, come dice Vincenzo Vita, «l’attacco alla scuola, la privatizzazione del sapere sono il cuore del berlusconismo, e la Germini è solo l’interprete». Di un disegno non banale, avvertono i leader dei sindacati confederali della scuola, a partire da Enrico Panini della Cgil: «L’ipotesi che c’è dietro non è un semplice ritorno agli anni 50: siamo all’inizio di una nuova éra di glaciazione sociale, con la formazione professionale ridotta alle botteghe degli anni 30 dove si imparava un mestiere e i bambini delle elementari sempre più divisi tra italiani e stranieri, tra ricchi e poveri. Stanno riscrivendo la Costituzione materiale». «Quello che non farà più la scuola pubblica, altri soggetti privati sono pronti a farlo sotto l’aureola della sussidiarietà», dice Francesco Scrima della Cisl. «Il ministro Gelmini non è stata in grado di citare neppure un pedagogista favorevole al suo disegno che è un atto di macelleria educativa». Cgil, Cisl e Uil parlano di una «mobilitazione che sarà molto forte», ma per ora non ci sono scioperi in vista. Panini però è ottimista: «Ai tempi della riforma Moratti si cominciò a protestare a fine ottobre, stavolta siamo solo ai primi di settembre e già ci sono decine di iniziative». «Da oggi non ci sono alibi per il Pd», spiega Garavaglia. «La scuola deve diventare la nostra priorità assoluta: dobbiamo parlare a tutti gli italiani, anche a quelli che hanno votato centrodestra. Lanciamo un appello alla mobilitazione contro i tagli alle elementari, che sono il fiore all’occhiello della scuola italiana, siamo all’ottavo posto nel mondo». «Dobbiamo trovare delle parole d’ordine per bucare una comunicazione che ci ha messo in sordina, per due mesi abbiamo sputato sangue in Parlamento ma nessuno se n’è accorto», si infervora la Garavaglia.
C’è anche chi, come Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd in Commissione Cultura alla Camera, arriva a rimpiangere la Moratti: «Almeno la sua riforma è arrivata a piccoli passi, è stata più democratica. Invece adesso vanno avanti con i decreti-legge per costruire una scuola autoritaria: ma anche se avremo pochissimo tempo in parlamento lo grideremo che si torna alla scuola degli anni 60». Angela Cortese, assessore all’Istruzione della provincia di Napoli, racconta: «La ministra voleva venire ad aprire l’anno scolastico a Napoli ma ci ha ripensato perché ha capito che non è aria: con tutta la disoccupazione che c’è pensano di tagliare 4mila posti da insegnanti…». Nadia Masini, sindaco di Forlì, si fa una domanda: «Con questi tagli come faremo a integrare i bambini stranieri che sono sempre più numerosi?». Pessimismo sull’esito dell’iter parlamentare del decreto: «Non so quanto riusciremo a frenarli», dice la stessa Masini. Ma non mancano voci autocritiche. Luciano Modica, ex sottosegretario all’Università nel governo Prodi, ricorda l’esperienza degli anni passati: «Tra il 2004 e il 2006 le nostre proposte avevano trovato grande consenso nel mondo dell’Università. Ma appena siamo andati al governo quel feeling si è perduto». E oggi, con un sondaggio di Consortium che vede la Gelmini prima tra i ministri con il 60% di fiducia, gli esperti del Pd sudano freddo: «Dobbiamo darci una mossa».
Andrea Carugati L’Unità 7.09.08
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