Centrodestra diviso, Bossi lancia
la tassa sui servizi. Nel compromesso
finale ci perderanno le Regioni
Aggiusta di qua, smussa di là, media, concilia, il progetto federalista del centro-destra – dicono gli esperti – non è tanto diverso da quello del centro-sinistra. E’ più ardito nel concedere tasse proprie agli enti locali; è meno nordista, invece, di quanto era sembrato all’inizio. Gli amministratori locali, di ogni area e partito, sono coinvolti nel dialogo. Probabilmente ricominceranno a litigare quando si passerà ai numeri, che ancora mancano.
Tornerà l’Ici?
L’Ici sulla prima casa non sarà ripristinata, hanno sostenuto ieri molte voci della maggioranza. Nella forma in cui è stata abolita, certo non tornerà. Ma, allo stato attuale della discussione con il governo, i sindaci sono convinti che il tributo di cui riscuoteranno i frutti colpirà, di necessità, anche le prime case. Tant’è che Umberto Bossi nel ribadire che «mettere una tassa sulla casa ai cittadini è una brutta cosa», non ha esitato a dire che bisogna «tassare i servizi». Tempi e modi, però ancora da capire.
Probabilmente, sarà un tributo legato al territorio, per tutti i servizi che i Comuni vi svolgono. «Si può immaginare per esempio un intervento sul reddito prodotto» dichiara il ministro per le Regioni Raffaele Fitto. Agli occhi degli esperti, pare più o meno la stessa cosa. Se la prima casa non rientrasse nel nuovo tributo comunale difficilmente i sindaci potrebbero ricevere risorse sufficienti; pur se lo Stato gli trasferirà il gettito dell’imposta di registro sulle compravendite. In tutto il mondo, le imposte sulla casa sono alla base della finanza locale. Negli Usa, sono anche del tutto pubbliche, mentre quelle sul reddito sono tutelate dal segreto.
Un patto più chiaro
«Il cittadino vuole sapere perché paga le imposte» è la frase di Luigi Einaudi che il ministro Roberto Calderoli cita all’inizio del suo documento. Se ad esempio gli elettori riterranno che un sindaco abbia alzato il tributo sulla casa senza garantire servizi migliori, o per abbassarlo abbia tagliato spese necessarie, lo bocceranno. I Comuni potranno anche istituire «tasse di scopo». Ad esempio, un tributo destinato a costruire una nuova metropolitana.
Lo Stato non paga a piè di lista
Per nessuna categoria di enti locali i tributi propri saranno sufficienti. Anche nel nuovo assetto, come oggi, utilizzeranno molte risorse trasferite dallo Stato. Ma i trasferimenti dello Stato saranno calcolati in modo diverso. L’idea è di riferirsi ai «costi standard» per fornire certe prestazioni di base, ritenute indispensabili. Questo avverrà per intero nel caso di sanità, assistenza istruzione; solo in parte per i trasporti.Per la sanità, si useranno i «Lea» (livelli essenziali di assistenza) a cui si sta lavorando da anni; per l’istruzione, ci si deve ancora pensare. Altri parametri serviranno nel caso dei Comuni, ad esempio a quanti bambini si deve garantire la scuola materna, e così via. Sparirà il criterio della «spesa storica»; a chi spreca, si darà meno. E’ un principio largamente condiviso ma difficile da applicare. Ci vorranno anni «e all’estero purtroppo non ci sono molti esempi validi» osserva un esperto, Giancarlo Pola, preside della facoltà di Economia di Ferrara.
Città metropolitane
Nove super-sindaci dovrebbero ricevere competenza su tutta l’area circostante, e poteri speciali, con una maggiore «autonomia di entrata e di spesa». Non è chiaro se le corrispondenti province saranno abolite. Milano e Napoli triplicherebbero la popolazione; per Torino, Firenze e Bologna sarebbe più che un raddoppio. Ovviamente gli attuali sindaci sono molto interessati, mentre i presidenti di Regione temono di riceverne ombra. Roma riceverà qualcosa di più, sia in entrate sia in patrimonio, dato il suo ruolo di capitale.
Regioni forti ma non troppo
Le Regioni ricevono l’istruzione in aggiunta alle competenze attuali, ma con regole generali che restano fissate dallo Stato; si attuano i principi della riforma costituzionale che fu adottata dal centro-sinistra 8 anni fa. Ma i loro poteri sono meno accresciuti; resteranno inferiori a quelli del Laender tedeschi. Potranno perequare le risorse tra i Comuni; ma non potranno ritardare (Calderoli ha ascoltato i timori dei sindaci) nel trasferirgli i fondi ricevuti dallo Stato.
L’imposta delle Regioni
«In via transitoria» le Regioni continueranno a ricevere il gettito dell’Irap. Necessario a finanziare la sanità: I tecnici consigliano di sostituirla con una imposta che colpisca le persone, invece che le imprese. Però è difficile trovare una alternativa a un tributo che ha un gettito così ampio; e che è tanto odiato anche perché è più difficile da evadere rispetto all’Irpef. Salvo nuove trovate di Tremonti, resterà.
L’imposta delle Province
Anche questa riforma salverà le province, che molti propongono di abolire. Il principio della trasparenza resta in sottordine, dato che a molti cittadini non è chiaro che cosa davvero le province facciano. Poiché nelle loro competenze, oltre allo sport e ai servizi per l’impiego, ci sono le strade, la loro autonomia impositiva si fonderà sull’auto. Saranno «razionalizzati» a questo scopo la tassa di possesso sulle automobili (ex bollo) e una quota delle imposte su benzina e gasolio. Entro certi limiti, potranno alzarle ed abbassarle.
Chi dà e chi riceve
In aggiunta a una base uguale per tutti, calcolata sui «costi standard» le Regioni più povere riceveranno qualcosa in più da un Fondo di perequazione dello Stato. Ma quale sarà la base non lo si sa ancora. L’attuale bozza Calderoli contiene tre ipotesi: dare a tutti quanto basta alla Regione più ricca, quanto basta alla media delle prime tre, o alla media delle prime sei. Chi resta fuori avrà la perequazione. «E’ una scelta meramente politica – spiega Alberto Zanardi, professore all’università di Bologna, esperto di finanza pubblica – perché se si calcolano i contributi sulla media di 6 Regioni, le più ricche, specie la Lombardia, avranno un surplus da spendere altrove. Se è solo una, la più ricca, non si creerà nessun problema». L’ipotesi intermedia, tre, è stata suggerita dal Veneto, per potervi rientrare e così vantare di fare da sé, senza l’aiuto aggiuntivo dello Stato.
Nord e Sud
Insomma, chi ci guadagna e chi ci perde? Il professor Zanardi ha calcolato che nella ripartizione dei fondi perderanno soprattutto Campania, Calabria e Basilicata, ma anche una Regione del Nord, la Liguria; però nell’ultima versione il periodo transitorio è stato allungato da 3 anni a 5. Il professor Pola valuta che «il Nord non avrà molto in più subito, ma un guadagno progessivo negli anni, grazie alla maggiore efficienza. Ma c’è una norma interessante che dà alle Regioni del Sud un incentivo a cooperare alla lotta contro l’evasione fiscale».
La Stampa, 5 Settembre 2008
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