In questo periodo di vacanze, vogliamo puntare lo sguardo e l’attenzione su un particolare tipo di viaggio. Il viaggio che molte coppie intraprendono all’estero per cercare un figlio attraverso la procreazione assistita. La vacanza è naturalmente una metafora perchè il leit motiv che accompagna il viaggio è il dolore e la frustrazione.
Vi proponiamo due articoli tratti da “La Stampa” di Marco Accossato
E’ l’altra «vacanza» del 2008. Turismo procreativo, metafora amara per migliaia di coppie in difficoltà. Mariti e mogli, coppie di fatto, non alla ricerca di una spiaggia da sogno o di puro relax. E neppure turismo dei più giovani sull’onda di notti brave nelle località festaiole. Sono i viaggi dell’angoscia per chi insegue – più o meno disperatamente – il desiderio di un figlio ad ogni costo: pronte a partire, a cercare cliniche oltre frontiera, sono sempre più numerose le coppie che puntano all’estero pur di superare il divieto italiano all’utilizzo di più ovociti. Con l’introduzione della legge 40 «non solo diminuiscono i figli, ma è quadruplicato e continua a crescere il numero di chi che cerca soluzioni altrove» denuncia il dottor Alessandro Di Gregorio, direttore del centro Artes di Torino, una delle più note strutture private specializzate nella diagnosi e nel trattamento della sterilità di coppia. Chi ricorre alla fecondazione artificiale in genere non ne parla volentieri, a volte lo nasconde persino ai familiari. Oltre all’imbarazzo della situazione, per chi punta all’estero si aggiunge a volte anche una sorta di senso di colpa, sensazione di «sfuggire» a una procedura legale per imboccare una strada proibita. E allora ecco che il periodo estivo può aiutare a «mascherare». Figli di un escamotage.
Meta preferita è la Spagna dove si è registrato un vero e proprio boom di italiani. Boom alimenta business: le coppie che hanno scelto in Spagna una struttura per provare a diventare genitori sono passate da 60 a quasi 1400, dopo la Legge 40. Pare ci siano tariffe a seconda della provenienza. Nizza è l’altra meta tipica degli italiani, soprattutto liguri. Chilometri e lingua comune spingono poi il 32 per cento di chi vive nel nostro Paese verso la Svizzera. E mentre la Gran Bretagna – a causa del cambio sfavorevole con la sterlina – è stabile nell’ordine delle preferenze, conquistano prenotazioni gli Usa e soprattutto i Paesi dell’Est, meta di chi vuole o può spendere meno. Low cost della culla. Basta contare il numero di siti web creati in lingua italiana da Centri esteri per rendersi conto della portata del problema. Fenomeno analogo esiste solo per i trattamenti di odontoiatria in Ungheria. «Le famiglie, provate dalla crisi economica, sono pronte a rinunciare alle vacanze vere, ma per un figlio sono disposte a indebitarsi fino al collo», sostiene Di Gregorio. Ma che ne valga almeno la pena: «Nel mio centro il numero di coppie che hanno chiesto di essere seguite sono drasticamente diminuite, da quando nel 2004 è entrata in vigore la Legge e si è aperta la porta verso l’estero. La prima cosa che molte mi chiedono, appena entrano in studio, è se il mio centro ha una sede fuori Italia. E quando rispondo “no” si alzano e se ne vanno».
Prima dell’approvazione della fatidica legge – calcola l’Osservatorio sul turismo procreativo – il numero di donne che hanno scelto di andare all’estero erano poco più di mille, mentre già nel 2006 erano ben più di 4 mila. «La Legge 40 – incalza Di Gregorio – blocca di fatto lo sviluppo della medicina e impedisce alle coppie che trovano difficoltà nel concepimento di sognare, di sperare ancora. Allora emigrano all’estero, spendendo molti soldi, con il rischio di finire oltretutto in centri poco professionali». Oltre la metà delle coppie che attraversa il confine in cerca di un bebè lo fa d’estate. In particolare a luglio, mese in cui – paradossalmente – si riscontra da sempre una maggior difficoltà a concepire naturalmente, per stress accumulato e caldo.
UNA FUGA PER NON ESSERE GIUDICATE
Io ho bisogno di parlare con qualcuno che non mi giudichi. Sono esausta di raccontare balle e mezze verità per evitare parole e prediche che non voglio ascoltare. Tra poco affronterò la mia prima Fivet, e se Dio vorrà riusciremo a produrre tre embrioni». Nella sensazione pesante di Marina c’è «la paura di sperare troppo, perché non c’è emozione più desolante di aver timore di un sentimento così positivo». Nella sensazione delle donne che non accettano una legge che consente di utilizzare solo quei tre embrioni c’è, in più, il disagio e il peso fisico e psicologico di dover «fuggire» all’estero per cercare la vita. Affrontare un viaggio che è comunque un punto interrogativo. E investire molto, non solo emotivamente: spendere per una clinica privata, spendere per un viaggio di andata e ritorno, e spendere per un soggiorno che potrebbe ripetersi, se l’impianto non si tradurrà in gravidanza e si dovrà ricominciare da capo. Ormai l’elenco dei centri esteri è su Internet. Ovunque. Bene ordinato sul sito www.cercounbimbo.it oppure suggerito da mamme felici ad aspiranti-mamme in crisi nei tanti forum dedicati alla procreazione assistita. Ci sono prezzi e giudizi sulle strutture, pareri sulla cortesia del personale. Proprio come fossero hotel o villaggi turistici. «E invece è un calvario a cui questo nostro Stato falso e bigotto obbliga migliaia di donne che sperano soltanto di poter diventare mamme e papà», sbotta Maria, 35 anni e un marito di 40 con astenospermia. Partiranno fra dieci giorni per l’Istituto Marquèz, in Spagna.
Il dolore
«Figli proibiti», li chiama qualcuno, caricando dolore sul dolore di chi non pensa affatto di compiere un gesto sbagliato, ma vuole soltanto avere una possibilità in più. «Avevamo deciso di andare all’estero per non sprecare i miei ovociti e per poter congelare gli embrioni. Avevamo deciso di affidarci a Bruxelles perché lì sono capaci di trattare gli spermatozoi con anticorpi. Siamo tornati senza aver congelato nulla e con soli due embrioni arrivati in terza giornata. Non è così che doveva andare, non è giusto. E il dubbio di come continuare, il dubbio se è giusto spendere tutti i nostri risparmi per un figlio che forse non arriverà, o arriverà e ci troverà sfiancati, moralmente ed economicamente, dalla sua ricerca», scrive Damabianca su un blog. Rossella, invece, non ha dubbi: non demorderà, pagherà, e se dovrà viaggiare viaggerà: «Io e mio marito – racconta – tra convivenza e matrimonio abbiamo dieci anni di vita assieme. Circa otto anni fa, dopo un anno di tentativi falliti, iniziammo l’iter diagnostico, cominciando da lui, visto che era l’esame più semplice. Passarono gli anni durante i quali tentammo con la medicina cinese e quella tibetana e si sperava ogni mese nel miracolo. Facciamo il primo tentativo un anno fa al San Raffaele di Milano. Il secondo al centro Promea di Torino. Terzo tentativo tra breve, se questa legge ci permetterà ancora di farlo decentemente in Italia. Altrimenti emigreremo». Chi cerca un figlio ad ogni costo e guarda all’estero trova nell’anonimo passaparola della Rete non solo un indirizzo, ma anche la forza di andare avanti: «Mia cognata è a caccia da 8 anni e ha tentato già diverse inseminazioni e due Fivet in Italia, andate tutte male. Si è rivolta a un centro in Spagna conosciuto tramite una trasmissione su Rai3. Costo 25 mila euro: comprende tre cicli di Fivet con impianto di cinque embrioni. In più loro congelano gli embrioni che avanzano per poterli riutilizzare eventualmente il prossimo ciclo. Dicono che la probabilità di riuscita di ottenere una gravidanza è del 90 per cento».
I dubbi
Qualsiasi viaggio della speranza è una sofferenza in più, anche per questo la Legge 40 è stata subito contestata. Emerge chiaro, nelle parole di ogni donna, di ogni coppia rassegnata con la valigia ormai pronta: «Me lo sono chiesta tante volte e spesso me lo hanno chiesto: vale la pena fare tutto questo? Stimolazioni, esami, ecografie che portano stress, illusioni e rabbia. Vorrei urlare a tutti i sostenitori di questa Legge 40, a coloro che l’hanno confermata e a coloro che se ne sono fregati, che non hanno capito nulla: noi la vita la amiamo e la vogliamo creare». «E’ proprio una vergogna che l’Italia sia così tanto ignorante», accusa Betty. «E’ così tremendo desiderare un figlio?», domanda Federica, trentadue anni, che ad ogni incontro col nipotino di nove anni sogna il figlio che non ha potuto avere ma desidera ancora: «So che all’estero, oltre a non esserci limitazione del numero di ovuli da fecondare in coltura si aggiunge la possibilità di congelare gli embrioni». Sta facendo i conti per capire quando potrà partire anche lei, come tante donne. Per Sabrina, trentacinque anni, andare all’estero invece non è solamente un modo per superare il limite per legge di ovociti utilizzabili: «Sono portatrice sana di un malattia genetica e non voglio che mio figlio soffra quello che sta attreversando mio fratello. Desidero che prima dell’impianto ci sai un analisi sull’embrione per non ricorrere all’aborto dopo un eventuale diagnosi di malattia».
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