Va molto di moda, tra i ministri del governo Berlusconi, propinare pillole di saggezza sulla scuola. Questa settimana, le esternazioni di Gelmini ci hanno informati – dopo il voto di condotta e dopo i grembiulini – di quanto sia fondante nell’interpretazione del suo mandato ministeriale il problema dei compiti per le vacanze; nonché di quanto un sano approccio conservatore sia l’unico in grado di sanare i problemi della scuola italiana. Problemi che, considerate le sue principali preoccupazioni, il ministro ha evidentemente molto presenti.
È poi stata la volta di Tremonti: con una lunga intervista a La Padania, Tremonti ha propinato formule come una (antipatica) Maga Magò. Perché, a differenza di quel personaggio bonario, pacioccone e un po’ bizzarro, il ministro dell’Economia è violento ed approssimativo. Ma, si sa, sulla scuola ognuno è autorizzato ad esprimere giudizi definitivi. Due i temi principali – «i due mali» – dell’intervista: la valutazione e i libri di testo. Minimo comune denominatore: l’odio per il ’68. Che c’azzecca? direbbe qualcuno. Al ’68 Tremonti fa risalire l’inizio di ogni male: la cultura velleitaria, il «casino» omnicomprensivo, non meglio identificato; al ’68 bisogna ricorrere per individuare il germe dell’idea di sostituire – alle elementari e alle medie – il voto con il giudizio. La necessità ideologica di questa riduzione dogmatica e un po’ forzata, ma comprensibile in un uomo di destra, di contenuti eterogenei ad un unico motivo, ha reso ancora più deboli le argomentazioni su tematiche volte evidentemente ad accreditare soluzioni muscolari, logiche di risparmio, letture culturali di basso profilo che il centro destra dedica di norma alla scuola italiana.
L’annoso problema della valutazione, sul quale esimi pedagogisti si interrogano da decenni e che rappresenta uno degli argomenti più complicati relativi al sistema scolastico, viene liquidato da Tremonti in una serie di triti luoghi comuni, in barba ad ogni dibattito scientifico sul tema. Che il governo Berlusconi abbia la necessità di accreditarsi verbalmente come rapido risolutore decisionista dei guai combinati dalla sinistra non è un motivo nuovo. Gravissimo è che un sedicente uomo di cultura non solo affronti l’alternativa tra giudizio sintetico (ottimo, buono ecc) e voto «dove c’è giudizio senza classifica non c’è neanche reale valutazione (…)» non rendendosi conto che sta parlando di alunni dai 6 ai 13 anni; ma addirittura – prendendo in prestito un po’ dell’inopportuno senso dell’umorismo dal Grande Capo – che ironizzi violentemente sui giudizi analitici: un passo indietro rispetto a qualunque analisi ragionevole della complessità del problema; nonché della realtà di bambini e preadolescenti. Dice Tremonti: «Ha ottime capacità di socializzazione. Che cosa vuol dire, che fa copiare i compagni? Collaborativo con i docenti; ossia non esita a fare la spia? Molto precoce per la sua età; insomma, beve e fuma?» E così via. Quanto sarcasmo di bassa lega da parte di chi sogna evidentemente una scuola di bambini e ragazzini schedati, inchiodati dal numero che li valuta, omologati e schiacciati in una logica classificatoria e non attenta alle loro singole individualità; tutti con il loro bel grembiulino (possibilmente) griffato; una scuola che si affretti a far fuori un gran numero di insegnanti, parassiti da sistemare, sui quali si formano le classi, come fa capire in seguito il ministro; un sistema scolastico tarato sulla burocrazia e non sui bisogni effettivi delle famiglie. Insomma, un ennesimo quadro catastrofico, in cui insegnanti e scuola – d’accordo, non tutti bravi, non tutti belli – svolgono tuttavia immeritatamente il ruolo dei principali colpevoli.
D’altra parte, però, l’altro grande «male» identificato da Tremonti – il caro-libri, amplificato anche da una tendenza al cambiamento dei testi da parte degli insegnanti, che rende i testi stessi non più utilizzabili, tramandabili da studente a studente – è un problema concreto, oltre che attuale, sul quale non sarebbe corretto dissentire radicalmente dal ministro. Perché, anno dopo anno, l’aumento del costo della vita che grava sulle famiglie italiane è amplificato da questa spesa onerosa e obbligatoria. Tremonti sciorina in maniera puntuale una serie di elementi che rappresenterebbero una soluzione alla questione: parla di e-book, sui quali sarà bene aprire una seria discussione; sottolinea che non è necessario cambiare testi, dal momento che le novità di metodo non hanno portato grandi risultati sul piano didattico; suggerisce solo appendici per i manuali consolidati, che eviterebbero esborsi inutili, in quelle discipline che non prevedano evoluzioni interpretative di breve periodo; fa appello, infine, a «un cambiamento che la gente ci chiede».
Insomma, a parte la confermata stima e considerazione per un eventuale lavoro di ricerca e di affinamento didattico dei docenti, una incoraggiante teoria di buone intenzioni. Ma, mi par bene, anno dopo anno, il problema del caro libri tiene banco tra la fine di agosto e gli inizi di settembre. Sarebbe interessante, per una volta, provare a vedere, a fronte di tante chiacchiere da ombrellone che fanno sospettare un ennesimo attacco pretestuoso alla scuola pubblica, uno sforzo per fornire risposte concrete. E non una enumerazione di denunce e buone intenzioni che hanno l’amaro retrogusto della demagogia.
Marina Boscaino L’Unità 13.08.08
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