Massimo Franco, Il Corriere della Sera
Un tempo si diceva che gli italiani erano europeisti ma non europei. Adesso, sembrerebbe che il nostro amore per il Vecchio Continente si stia progressivamente raffreddando; e che le istituzioni di Bruxelles e Strasburgo, alle quali si guardava come fonte di sostegno e perfino di identità, siano diventate distanti e ostili: il sospetto dichiarato del governo è che stiano congiurando contro il Bel Paese berlusconiano. Il risultato è una sorta di braccio di ferro permanente fra Roma e Ue. Si tratti di Parlamento, Commissione o Consiglio d’Europa, che pure non ha legami istituzionali con i primi due e si occupa di diritti umani, lo scontro è garantito.
Da quando il centrodestra è tornato al potere in Italia, sta calando una coltre di diffidenza reciproca alimentata dai primi provvedimenti in materia di immigrazione e di sicurezza. In passato, anche con la coalizione di Romano Prodi, i contrasti si consumavano in prevalenza sui temi economici. Ora si registrano su un piano più delicato e scivoloso perché mettono in discussione il livello di democrazia del nostro Paese. A volte, le critiche riflettono un buon tasso di pregiudizio. Vengono suggerite e gonfiate da alcuni settori della sinistra, che brandiscono l’antiberlusconismo come una bandiera della libertà.
Ma liquidare il problema così sarebbe miope.
Anche perché le reazioni indignate del governo italiano alla reprimenda del Consiglio d’Europa sul trattamento riservato ai rom si sono indirizzate subito ai «burocrati di Bruxelles». Che si tratti della Corte europea dei diritti dell’uomo, della Commissione o del Parlamento, evidentemente basta la parola «Europa» a far scattare nella maggioranza una reazione che finisce per risultare pregiudiziale almeno quanto alcune delle critiche rivolte al governo di Roma. È come se l’Italia fosse convinta di essere diventata una sorta di capro espiatorio continentale.
Forse nelle file dell’opposizione qualcuno vede in questo pericoloso avvitamento una prospettiva da incoraggiare: la quarantena italiana sarebbe la conferma del «male» rappresentato dal Cavaliere. E chissà, magari un calcolo simile viene fatto anche in settori della maggioranza: si pensa che fomentare l’ostilità contro l’Europa serva a costruire un’identità conflittuale con un potere sovranazionale ritenuto incombente e impopolare. Ma di tensione in tensione, si perde la dimensione europea dei problemi. Si pratica un’autarchia legislativa che ha come unico referente e giudice il consenso elettorale.
Il risultato è che lo status di Paese «sorvegliato speciale» viene alimentato proprio dal modo sbrigativo col quale è rifiutato dal governo italiano. Pochi sembrano consapevoli che uno scontro del genere può delegittimare l’Europa; ma indebolisce soprattutto l’Italia, non riducendo ma dilatando la percezione di una nostra «anomalia». Per questo, conviene ancorarsi all’Ue nonostante le difficoltà vistose; e tentare di ricucire strappi politici e insieme culturali, figli di stereotipi inaccettabili ma anche di scelte discutibili che non si possono difendere solo con l’idea del complotto antiitaliano.
Altrimenti, si risponde ad un’immagine falsata del-l’Italia con luoghi comuni speculari.
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