Nel consuntivo di questa brutta settimana della politica italiana la pagina più negativa, che non intendiamo affatto archiviare, riguarda il tema delle garanzie stracciate.
Lo strappo alle regole parlamentari e costituzionali, compiuto per approvare il «lodo Alfano» in pochi giorni, ha ferito gravemente le prerogative del Parlamento. Davanti alle tante emergenze, economiche e sociali, con cui il Paese deve misurarsi, il governo e la sua maggioranza hanno preferito risolvere i problemi giudiziari del premier: e per agire più in fretta hanno travolto ogni regola. Particolarmente gravi sono apparse le scelte del presidente della Camera che ha assecondato questo disegno, rinunciando ad esercitare quel ruolo di garanzia che avrebbe dovuto invece svolgere secondo i principi del nostro ordinamento.
I tempi ristrettissimi per l’esame del provvedimento imposti dalla Presidenza della Camera, malgrado le ferme e motivate contestazioni dell’opposizione, non hanno consentito l’esercizio regolare della fase istruttoria del procedimento legislativo, disciplinata dall’articolo 72 della Costituzione, e propedeutica alla successiva decisione da parte dell’Assemblea.
Otto ore di lavoro effettive in Commissione per un provvedimento di questo rilievo, dai profili costituzionali così complessi, sono una farsa. Sarebbe bastato ascoltare almeno qualcuno di quei costituzionalisti che in questi giorni hanno riempito con i loro pareri le pagine dei giornali e mettere a confronto tesi diverse. Ma tutto questo non è stato possibile. Non c’era il tempo. Non meno rapido è risultato il passaggio in Aula, solo due giorni, avendo il presidente della Camera deciso per il contingentamento dei tempi: 20 ore in tutto, suddivise tra governo, maggioranza e opposizione.
Quanto avvenuto è stato possibile solo forzando oltre misura il regolamento attraverso il richiamo ai precedenti parlamentari, cioè alle deliberazioni adottate in casi analoghi. Deroghe pesanti ci sono state anche in passato ma avvenivano di massima con il consenso unanime di tutti i gruppi parlamentari, di maggioranza e opposizione.
Questa volta si è operato in un clima di forte contrasto – prima in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo e poi in Giunta del regolamento – applicando contemporaneamente più deroghe, ognuna giustificata da un precedente diverso. Il risultato finale è un mostro giuridico. L’applicazione e l’interpretazione del regolamento è una delle principali attribuzioni che fa capo al presidente della Camera, il quale ha di fatto il monopolio della decisione interpretativa, un potere enorme in un sistema parlamentare prevalentemente bipolare come è il nostro. In questo frangente il suo operato non è stato coerente con la sua funzione di garante della legalità all’interno della Camera.
I precedenti richiamati sono apparsi come tante pezze con cui si è tentato invano di rammendare lo strappo fatto alla Costituzione. Fini, in un lungo intervento per motivare le sue scelte, ha richiamato, tra gli altri, 5 precedenti, 3 provvedimenti della XIII legislatura e 2 della XIV, tra i casi di conclusione dell’esame in sede referente il giorno stesso dell’inizio della discussione in Aula. È vero: in alcuni casi, il disegno di legge approdò all’esame dell’Aula in poche ore. Fini ha però tralasciato di ricordare i tempi che questi provvedimenti hanno avuto in Commissione o nell’altro ramo del Parlamento: sempre con un iter degno di questo nome.
Nessuna violenza o lacerazione ai regolamenti o alla Costituzione come è invece accaduto per il «Lodo Alfano». Ora, il risultato del combinato disposto di precedenti e «prassi costante», congegnato per il «Lodo Alfano», è il potere assoluto attribuito al governo di presentare un disegno di legge e vederlo approvato dalla Camera in pochi giorni, con una accelerazione dei tempi mai vista, che chiude tutti gli spazi di confronto parlamentare.
Questo, da ora in poi, costituisce un precedente, con effetti innovativi rilevanti sulle norme del procedimento legislativo, da cui non si potrà più prescindere. La necessità di accelerare i tempi della decisione politica, da noi peraltro auspicata, non può tradursi nell’annichilimento del ruolo del Parlamento, mentre si rafforza il potere del Governo.
Un ultima considerazione sul ruolo del Presidente della Camera, nel sistema attuale. Fini aveva l’opportunità di scegliere quale impronta dare alla sua Presidenza: questi primi mesi di legislatura lasciano pochi dubbi sulla scelta fatta. Il presidente della Camera sembra aver deciso (speriamo l’impressione sia sbagliata) di non essere più «uomo della Costituzione» (secondo una nota espressione di Andrea Manzella) ma un rappresentante autorevole della maggioranza parlamentare, il principale garante dell’attuazione del suo programma. Se e quando si tornerà a parlare di riforme sarà bene tenerne conto.
L’Unità, 13 luglio 2008
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