Pubblichiamo l’intervento dell’On. Amalia Schirru effettuato nel corso della seduta di Lunedì 23 Giugno 2008 alla Camera dei Deputati.
L’ On. Schirru interviene nel merito delle misure previste dal DDL nr. 93 del 2008, con le quali sono state introdotte l’eliminazione dell’ ICI sulla prima casa, la detassazione del lavoro straordinario e altri interventi per la salvaguardia del potere d’acquisto delle famiglie.
Si tratta di un’analisi economica e sociologica molto approfondita sul reale impatto delle misure previste dal Governo.
AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge 27 magg2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, contiene disposizioni in
materia di esenzione totale dall’ICI per la prima casa, in aggiunta a quelle già decisecon la legge finanziaria 2008 dal GovernoProdi.
Il provvedimento introduce un regime fiscale agevolato fino a 3 mila euro lordi solo per i lavoratori del settore privato che svolgono lavoro straordinario e supplementare, prevede la rinegoziazione dei
mutui a tasso variabile per la casa e concede un prestito di 300 milioni di euro all’Alitalia, che ha problemi di liquidità.
A dire il vero, dal titolo, ci aspettavamo per il periodo 2008-2010, in cui è compreso l’anno europeo di lotta alla povertà e all’esclusione sociale, una serie di misure più coerenti con l’iniziativa lanciata dall’Unione europea, che – lo ricordiamo – mira a favorire la piena occupazione attraverso un sistema completo di protezione sociale, capace di conciliare un adeguato sostegno al reddito con la necessità
di maggiore mobilità sul mercato del lavoro.
Ci sentivamo pronti a sostenere, a partecipare e a condividere, anche con le nostre proposte di legge, le preoccupazioni alla base della decisione europea, attraverso il richiamo allo Stato, alle regioni e
agli enti locali di farsi carico delle condizioni di povertà e di esclusione in cui versano migliaia di cittadini italiani, 340 mila solo nella mia regione.
Per un momento abbiamo creduto di poter individuare insieme delle politiche capaci di assicurare l’integrazione sociale delle persone che sono più lontane dal mercato del lavoro, sostenendo gli enti
locali nella promozione delle condizioni di accesso, per le persone più in difficoltà, ai servizi sociali economici e culturali, ma sitrattava di un’evidente illusione.
Il Governo, infatti, a poco più di un mese dal suo insediamento, ci propone come primo intervento urgente un’azione che non ci pare possa promuovere la crescita economica del nostro Paese e
l’occupazione e che di certo non facilita ai cittadini l’ingresso nel mercato del lavoro, né fornisce un’adeguata protezione a coloro che ne sono fuori.
Con lo stesso decreto-legge e con la somma erogata all’Alitalia, ci viene prospettata la riduzione delle risorse per il trasporto pubblico, che invece devono essere destinate ad aumentare e a migliorare
i mezzi di trasporto e la viabilità. Si tratta di interventi necessari per fare fronte alle nuove domande di spostamento quotidiano dei lavoratori e dei cittadini, per rendere meno traumatico il fenomeno del
pendolarismo e per evitare il triste ripetersi delle stragi sulle strade, anche per recarsi al lavoro.
Per contro – e a sorpresa – si chiedono interventi di riduzione nei settori della sanità, come la prossima reintroduzione dei ticket per le prestazioni medico-specialistiche.
Si dimezzano i Fondi delle pari opportunità e delle politiche sociali e si cancella il Fondo per le iniziative rivolte a combattere la violenza sessuale, utili, invece, a nostro parere, ad affrontare e
contrastare quelle terribili forme di sopruso che si annidano in tante famiglie spesso segnate, oltre che dalla povertà materiale, anche da sofferenze, dalla sopraffazione e da una grande solitudine. Il
Governo sembra in questo caso non conoscere, o non voler prestare la sua giusta attenzione, alle forme più complesse della povertà e non reputa centrale la necessità di porre in atto strategie e azioni coerenti di prevenzione fondate sul processo di appropriazione sociale. Ci propone misure che, invece di aggiungere, sottraggono, riducono, quelle risorse destinate ai più indigenti, alle persone più indifese, nonché misure che ledono i diritti delle donne e dei più deboli.
Una maggiore conoscenza avrebbe aiutato a riconoscere in Italia l’esistenza di una forte polarizzazione tra ricchi e poveri, tra il Settentrione, dove c’è lavoro ma spesso è sottopagato e ingiustamente remunerato, e il Meridione, dove si registrano realtà di disoccupazione giovanile e
femminile, con lavoratori da anni in cassa integrazione e ancora troppi precari non stabilizzati: un Paese, insomma, dove permangono grandi forme di disuguaglianza sociale e dove esistono persone sole che, dopo una vita di lavoro, sopravvivono con redditi impensabili di 400 euro, invalidi con pensioni di 215 euro, famiglie mono-reddito con più figli a carico che percepiscono 700-900 euro mensili, tanti disoccupati che hanno un lavoro per solo due o tre mesi all’anno e donne impiegate nelle imprese di pulizia, che vivono con 300-400 euro al mese.
La nostra società è e si sente più povera, poiché la spesa di tante famigliecontinua ad aumentare. Oggi non si hanno i soldi non solo per il cinema, ma più gravemente per pagare le bollette e per
fare la spesa: cresce il costo delle abitazioni in affitto, dell’acqua, dell’elettricità, dei prodotti alimentari e dei trasporti. Ci sono famiglie escluse dai servizi sanitari o dall’istruzione, perché nel bilancio familiare è impossibile prevedere spese extra, come una visita medica specialistica o i
testi universitari per i figli.
Questa è la realtà di un Paese nel quale la crescita è ancora minima, nonostante i sacrifici fatti finora, e che vede un potere d’acquisto ancora troppo debole per poter pensare ad una politica di regalie ad
imprese già compromesse.
Riteniamo che per far crescere il Paese meglio sarebbe stato investire su altri fronti (come quello a noi caro e ancora troppo invisibile dell’occupazione femminile), sull’incremento dei servizi e della
rete di sostegno al lavoro delle donne, al fine di conseguire finalmente gli obiettivi della strategia di Lisbona (da cui l’Italia è ancora troppo lontana) e per compiere finalmente quel cambio di passo che è il lavoro e l’innovazione per le donne e, insieme, maggiore crescita e opportunità per il Paese.
Per quel che concerne nello specifico la detassazione degli straordinari (una misura discussa presso la Commissione lavoro), riteniamo che non rappresenti assolutamenteuna priorità per il Paese.
Come ricordavo in premessa, ben altre sono le urgenze: l’emergenza dei salari (tra i più bassi d’Europa) e delle pensioni. Ci troviamo, invece, dinanzi ad una disciplina particolare, che vede nel prolungamento dell’orario normale di lavoro un’emergenza.
Intanto, la variazione dell’orario di lavoro deve sempre trovare una motivazione nelle esigenze particolari e organizzative delle imprese e devono essere in ogni caso provate dal datore di lavoro. Ciò
richiede, comunque, l’accordo delle parti e deve essere retribuito con una maggiorazione.
Di conseguenza, per giustificare l’impiego di questa soluzione senza ricorrere all’assunzione di altri lavoratori occorrerebbero esigenze tecnico-produttive e casi eccezionali, casi di forza maggiore, che in questo momento non ci pare esistano nel nostro sistema produttivo. Anzi, ricordiamoci che in molte zone d’Italia le maggiori aziende stanno addirittura chiudendo e licenziando centinaia di lavoratori. Parlo con preoccupazione non solo della mia Sardegna, ma anche della Lombardia, di
Lecco e di altre realtà note.
Il decreto-legge n. 93 del 2008 di fatto non permette di conseguire i due importanti e condivisibili obiettivi della promozione della crescita e dell’incremento del potere di acquisto dei lavoratori. Non si
considerano le fasce di lavoratori escluse dal provvedimento, quali i pubblici dipendenti, che comprendono figure particolarmente importanti per la collettività: infermieri, poliziotti, guardie carcerarie, nonché i lavoratori atipici e le donne, rispettoai quali sarebbe stato auspicabile, a nostro
avviso, un ben altro tipo di intervento.
Si interviene, invece, esclusivamente in favore del settore privato e delle imprese maggiormente in grado di competere sul mercato, determinando perciò una discriminazione a danno del Mezzogiorno, con conseguente aumento del differenziale occupazionale tra nord e sud.
L’ennesima incongruenza si ritrova se si guarda al lavoro a tempo parziale o part-time, considerato una forma di lavoro flessibile ed utilizzato non perché richiesto dal lavoratore, ma soprattutto perché preteso dal datore di lavoro. Anche questa tipologia di lavoro potrà ricorrere al lavoro straordinario e allora perché non promuovere la stabilizzazione, il tempo pieno e indeterminato, quando ciò corrisponde alle aspettative del lavoratore ed è importante per la maggiore produttività del sistema aziendale ? Oltre al fatto che non tutti i lavoratori fanno straordinario, ci si dimentica che in questo modo si incentiva esclusivamente la quantità del lavoro e non la qualità dello stesso.
Le ore di straordinario costituiscono, infatti, ore con produttività marginale inferiore.
Dopo le otto ore giornaliere, il lavoratore è più stanco e, quindi, anche meno produttivo. Non si ricorda ancora che il problema in Italia sia oggi il basso tasso di occupazione e non sicuramente il
numero di ore lavorate. In luogo della detassazione degli straordinari, sarebbe stato più opportuno prevedere forme di detassazione del reddito dei lavoratori dipendenti, nonché forme di decontribuzione, legate alle prestazioni previdenziali, con un contestuale rafforzamento della
disciplina volta a favorire i premi di produttività – ad esempio, rispetto a ciò, l’impegno del precedente Governo si concentrato sulla materia degli sgravi contributivi, per incentivare la contrattazione di secondo livello –, e di riduzione dell’imposizione fiscale sulla quota di retribuzione
corrisposta a titolo di premio diproduttività. Invece della detassazione decisa unilateralmente
dal datore di lavoro, avremmo dovuto sostenere la riforma della contrattazione, utile a revisionare il funzionamento del nostro mercato del lavoro, la struttura contrattuale e il miglioramento
del sistema produttivo, e prevedere incentivi per i lavori stabili.
Riteniamo che le disposizioni contenute nel decreto-legge possano, in realtà, favorire l’emersione di particolari forme di elusione fiscale, considerato che le imprese potrebbero far rientrare, nell’ambito delle remunerazioni per prestazioni di lavoro straordinario, prestazioni non riconducibili a tale tipologia di lavoro, al solo fine di ottenere un regime fiscale agevolato.
Ancora una volta, il Partito Democratico propone al Governo di riconoscere l’evidenza e di utilizzare le risorse dall’extragettito per altre e più urgenti priorità d’intervento, come quelle citate in premessa.
Concludendo, nel ribadire la nostra contrarietà a un provvedimento che favorisce le categorie di lavoro e di impresa più forti, sarebbe stato più opportuno intervenire a sostegno dei redditi di lavoro
dipendente, in presenza di più bassi livelli salariali, venendo poi incontro alle esigenze
delle imprese anche attraverso quelle misure di riduzione del cuneo fiscale già prese nella passata legislatura dal Governo precedente, in una ottica di riduzione reale e concreta del costo del lavoro. Salari più alti a chi ha visto sminuire il valore della propria attività e concretamente precipitare il proprio potere d’acquisto.
Sarebbero state maggiormente auspicabili politiche di buona flessibilità, nonché di conciliazione tra lavoro e vita familiare, per mettere a punto le necessarie strategie di crescita, senza dimenticare i principi di equità e pari opportunità, con un occhio di riguardo alle politiche di distribuzione del
reddito e di accesso a servizi pubblici efficienti e moderni.
Sarebbe stato opportuno agire con misure tese a rilanciare l’economia, l’occupazione e a bloccare l’aumento incontrollato dei prezzi dei servizi, della benzina e dei trasporti, incoraggiando, attraverso interventi fiscali, lo sviluppo di quelle attività che sostengono la crescita e, quindi, la
ricerca, la formazione e gli investimenti in tecnologia.
Inoltre, perché operare sulla riduzione delle spese attraverso i contributi ISFOL dil avoratori precari, le attività socialmente utili rivolte alle categorie più deboli nel mercato del lavoro, sottoposte a continui
ricatti ?
Si vuole forse aprire una guerra tra poveri e accentuare il conflitto sociale nel mondo del lavoro ? Perché tutelare chi già possiede e umiliare chi ancora non ha e non ha mai avuto ?
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