ROMA – Le mutilazioni genitali femminili in Egitto sono reato: lo stabilisce una legge approvata sabato dal Parlamento, allargando il provvedimento dello scorso anno che già vietava la pratica negli ospedali e nelle cliniche private del paese.
La nuova legge è parte di un pacchetto di provvedimenti per l’infanzia che fra l’altro innalza l’età minima per contrarre matrimonio da 16 a 18 anni e consente alle madri di registrare i figli sotto il proprio nome. Arriva dopo una lunga battaglia che in Parlamento ha visto i rappresentanti dei Fratelli musulmani – che sono il maggiore gruppo di opposizione ma risultano registrati come indipendenti – battersi contro il governo: secondo il partito islamico le nuove norme “minano i fondamenti della famiglia egiziana”.
In base alla nuova normativa l’escissione (l’ablazione parziale o totale degli organi genitali esterni femminili) è punibile con una pena da tre mesi a due anni di reclusione o con una multa compresa fra 1.000 e 5.000 lire egiziane (fra 118 e 590 euro). La nuova legge tuttavia non può essere considerata una vittoria totale da chi si batte contro le mutilazioni. Lascia infatti aperta una finestra, stabilendo che l’escissione può essere praticata in caso di “necessità medica”: un cavillo che può essere facilmente usato per continuare la vecchia pratica.
Già lo scorso anno, una prima legge – approvata sull’onda delle polemiche generate dalla morte di un’undicenne – aveva provato a bandire le mutilazioni proibendole negli ospedali e nelle cliniche, ma di fatto gli interventi erano continuati. La morte di una seconda ragazzina poche settimane dopo l’entrata in vigore della norma aveva spinto il Parlamento a tornare sui suoi passi e a studiare una legge più dura: quella attuale appunto.
Ma la strada che ha portato al risultato di sabato è molto più lunga: è dalla fine degli anni ’90 che la pratica delle mutilazioni è in discussione in Egitto, grazie alla pressioni fatte dalle associazioni non governative europee (Non c’è Pace senza Giustizia e Aidos, solo per citarne due), al lavoro dell’ex ministro Emma Bonino e della moglie del presidente egiziano Mubarak, Suzanne. L’azione delle due donne aveva portato negli anni scorsi alla condanna delle mutilazioni sia da parte del patriarca copto che delle autorità di Al Azhar, l’università del Cairo considerata il cuore dell’Islam sunnita.
Benché sia diffusa l’idea che la mutilazione sia prevista dai testi sacri come “purificazione” per le donne, di questa pratica non si trova traccia né nel Corano né nella Bibbia. In Egitto il 96% delle donne, musulmane o cristiane, subiscono mutilazioni sessuali, secondo uno studio condotto dall’ufficio governativo demografico nel 2005 su donne fra i 15 e i 49 anni.
Le mutilazioni consistono nel taglio delle labbra della vagina e nella chiusura dell’organo genitale femminile: solo un piccolo foro viene lasciato per far fuoriuscire l’urina. Una volta infibulate le donne non provano piacere sessuale, hanno difficoltà a partorire e sono ad altissimo rischio di contrarre infezioni.
La Repubblica 10 giugno 2008