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«Dalle aule parlamentari alle aule di scuola – Lezioni di Costituzione»: una bella esperienza, da divulgare

L’iniziativa «Dalle aule parlamentari alle aule di scuola – Lezioni di Costituzione» rappresenta un ottimo progetto educativo e testimonia come la scuola pubblica italiana sia in grado di assolvere alla funzione educativa di preparare i giovani a essere cittadini responsabili e consapevoli. L’iniziativa è stata promossa lo scorso anno dall’allora ministro Fioroni, per fare avvicinare gli studenti alla nostra Carta Costituzionale e ai valori in essa sanciti (in questo primo anno vi hanno preso parte circa 300 tra ragazzi e insegnanti, in rappresentanza di 60 istituti di istruzione superiore delle diverse Regioni).
Nel corso dell’esperienza, gli articoli della Costituzione sono diventati uno strumento didattico, per educare i ragazzi all’esercizio dei diritti e dei doveri, alla legalità, alla convivenza civile, all’interculturalità e all’integrazione. I progetti, realizzati con l’uso di linguaggi espressivi diversi, rappresentano l’approdo a cui sono giunti gli studenti dopo il loro “viaggio” nella nostra Costituzione.
Insomma, una bella esperienza. Purtroppo i mezzi di informazione non hanno dato conto dell’iniziativa e dei suoi felici esiti: sarebbe invece stato utile, per far sapere al Paese che la scuola italiana non si esaurisce in episodi di bullismo e “malaeducazione”, ai quali è data, bensì, tanta risonanza. Purtroppo un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce e i media non raccontano tutto ciò che nella scuola funziona.
Grazie ai tanti docenti e dirigenti accumunati dalla passione professionale e civile, la scuola rappresenta un volano di conoscenza e formazione per i ragazzi italiani e i tanti giovani stranieri, che vivono nel nostro Paese. Si tratta di un’esperienza positiva che dimostra come la scuola pubblica sia capace di valorizzare i talenti e promuovere la crescita personale, perché è “scuola della Repubblica”.
A margine della meritoria iniziativa, permettetemi alcune considerazioni sulla cerimonia conclusiva, che si è svolta venerdì mattina, nell’Aula di Montecitorio (clicca qui per vedere la registrazione della cerimonia).
Il ministro Gelmini ha dedicato la maggior parte del tempo a sua disposizione per sostenere la necessità di riformare la seconda parte della Costituzione. Legittimo, certo (anche se nel merito delle argomentazione ci sarebbe molto da dire), ma per la verità, a distanza di un mese dalla sua nomina a ministro, mi sarei aspettata un intervento incentrato sui problemi della scuola, in considerazione delle tante attese di docenti e studenti che ancora non hanno avuto un cenno di risposta. Dovremo aspettare martedì prossimo, data prevista dell’audizione alla VII Commissione Cultura della Camera?
A eccezione della studentessa dell’Istituto Morra di Matera e della sen. Albertina Soliani, nessun altro intervento ha fatto riferimento al contesto storico in cui si inquadra la nascita e la scrittura della nostra Costituzione. Nell’Aula una parola non è mai riecheggiata: fascismo. Mentre sappiamo che proprio l’esperienza dell’antifascismo e della lotta di Liberazione costituì per i Costituenti – come testimoniano i loro interventi pronunciati sessant’anni fa in questa stessa Aula – il cemento dell’accordo tra culture politiche e orientamenti ideali diversi. Segno di un’autocensura o dell’avvio di una stagione di piaggeria revisionistica?
Per concludere, voglio vedere il bicchiere mezzo pieno, nella speranza di non dovermi confrontare con quello mezzo vuoto. Non posso tacere il fatto che ad aprire e chiudere la cerimonia siano stati rispettivamente l’on. Fini, presidente della Camera, e il sen. Schifani, presidente del Senato, ossia due esponenti di forze estranee al patto costituzionale. Al di là dei recenti esiti elettorali, questa circostanza è una conferma della forza e della vitalità del patto costituzionale e della nostra invidiabile Carta. Forse…

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