Che la prima presidente donna di Confindustria mostrasse sensibilità verso il lavoro delle donne era quasi scontato. Nel suo discorso di insediamento Emma Marcegaglia ha però dato un segnale più forte del previsto. L’Italia sembra aver rinunciato «a quella grande risorsa che è l’occupazione femminile». Così facendo «si bruciano enormi potenzialità»: ne risentono il tasso di crescita dell’economia, il benessere delle famiglie, il ricambio demografico.
«Dobbiamo avere più donne al lavoro e un welfare più a favore della famiglia e dell’infanzia»: il monito è stato forte e chiaro, è nata una Confindustria women friendly non solo nell’organigramma, ma anche nelle strategie programmatiche. E’ una bella novità, ma adesso occorre passare rapidamente dalle parole ai fatti: altrimenti ci supera anche Malta, l’unico Paese della Ue in cui l’occupazione femminile sia più bassa che in Italia.
Nei prossimi mesi governo e Parlamento saranno chiamati a prendere importanti provvedimenti di politica economica. Dovrà essere innanzitutto convertito in legge il decreto appena varato sulla detassazione di straordinari e premi di produttività. Molti commentatori hanno messo in luce i possibili effetti scoraggianti di una simile misura. Sulla base delle scelte concrete di lavoratori e lavoratrici in tema di straordinari (scelte ben note a imprese e sindacati) non si potrebbero congegnare le nuove norme in modo da premiare di più il lavoro e la produttività delle donne? Senza incentivi mirati, le donne continueranno a fare gli straordinari «a casa», impegnate in quel lavoro domestico che ricade ancora pesantemente sulle loro spalle.
Fra luglio e settembre si giocherà poi la delicata partita della Finanziaria. I margini di manovra sono stretti. Sul versante della spesa sarebbe tuttavia fortemente auspicabile accrescere le risorse per i servizi alle famiglie e all’infanzia, magari sottraendole a settori meno essenziali onde rispettare le compatibilità di bilancio. Senza asili nido e strutture per anziani, per citare solo le due principali emergenze, le donne italiane proprio non ce la fanno a «conciliare».
Sul versante fiscale è invece di cruciale importanza tenere assieme i due obiettivi indicati da Marcegaglia: incentivi al lavoro delle donne e aiuti alle famiglie con figli. Lo slogan «un fisco a misura di famiglia», caro a molti esponenti della nuova maggioranza, enfatizza il secondo obiettivo ma offusca e rischia anzi di contrastare il primo. L’esperienza degli altri Paesi europei insegna che la disponibilità di due stipendi (grazie al lavoro di entrambi i partner) è la migliore garanzia contro l’insicurezza economica delle famiglie. La leva fiscale potrebbe essere utilizzata anche per incentivare l’offerta privata di servizi (soprattutto i servizi per la cosiddetta facilitazione delle attività quotidiane e la qualità della vita), seguendo l’esempio francese.
Come parte sociale formalmente titolata ad esprimersi sulle scelte economiche del governo, una Confindustria women friendly può dare un importante contributo alla valorizzazione del fattore D. C’è però anche un delicato fronte interno su cui impegnarsi: convincere le aziende italiane che «donna conviene», incoraggiare l’innovazione organizzativa e la diffusione di buone pratiche. Le associazioni industriali di altri paesi sono da tempo impegnate a promuovere il cosiddetto business case
dell’occupazione femminile: a dimostrare cioè ai propri associati i vantaggi che l’impresa può trarre dal lavoro delle donne, dall’adozione di una cultura basata su diversità e pari opportunità, sul sostegno alla conciliazione.
Un rapido sguardo ai siti delle confindustrie inglese, tedesca o francese dà subito un’idea del grande sforzo progettuale, comunicativo e organizzativo di queste associazioni. La cultura della conciliazione sta lentamente facendo breccia anche nel mondo imprenditoriale italiano, ma c’è ancora molto lavoro da fare. Peraltro le caratteristiche del nostro sistema produttivo, imperniato sulle piccole e medie imprese, rendono più difficile il cambiamento e richiedono dunque maggiore impegno e maggiore creatività.
Vi è infine un terzo fronte su cui è auspicabile fare progressi: mettere l’occupazione femminile al centro delle relazioni industriali, così come da tempo raccomanda l’Unione europea. In Francia nel 2004 questo tema (insieme alle pari opportunità professionali) è stato oggetto di un ampio accordo interprofessionale, al quale sono seguiti numerosi accordi di settore e di azienda. Dati i nostri macroscopici ritardi, forse varrebbe la pena di riflettere su tale esperienza.
Naturalmente i progressi in questa direzione presuppongono orientamenti women friendly (anche se con proposte diverse, ovviamente) da parte di entrambe le parti sociali. Se Marcegaglia fa sul serio, potrebbe però aprirsi una fase nuova, destinata a registrare novità interessanti anche all’interno del mondo sindacale italiano. Novità di programma e, perché no, anche di organigramma.
dal Corriere della Sera
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