“Merito e più poteri ai presidi”, ecco la scuola del nuovo ministro, di Salvo Intravaia
“IL MERITO, innanzitutto”. Ecco il pensiero del neoministro della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Mariastella Gelmini. Nel totonomine dei giorni scorsi, il suo nome era già in circolazione proprio per la “casella” che le ha successivamente affidato il premier, Silvio Berlusconi. E assieme al nome, tra gli addetti ai lavori, sono cominciate a circolare anche le prime critiche: chi la considera troppo giovane e chi avrebbero preferito un tecnico con maggiore conoscenza sistema-scuola. Ma se qualcuno pensa che la trentacinquenne bresciana sia stata catapultata a Palazzo della Minerva quasi per caso si sbaglia. E di grosso. Lei ha le idee abbastanza chiare sulle mosse da fare per rilanciare il sistema dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Il suo pensiero, quasi fosse una premonizione, è contenuto in una proposta di legge (“Delega al Governo per la promozione e l’attuazione del merito nella società, nell’economia e nella pubblica amministrazione e istituzione della Direzione di valutazione e monitoraggio del merito presso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato”) presentata lo scorso 5 febbraio, quando il governo Prodi era già caduto. Il disegno di legge prevede una serie di deleghe al governo: per la “valorizzazione del merito nel sistema scolastico e universitario”, per “la valorizzazione del merito nella pubblica amministrazione” e per “la valorizzazione del merito nel mercato del lavoro”.
Il motivo è semplice. “È noto – si legge nella relazione introduttiva della Gelmini – che il sistema-Paese sta attraversando, da molti anni, una crisi che attraversa tutti i livelli sociali e istituzionali; si tratta di una crisi di fiducia e di speranza tra le cui cause si può annoverare la scarsa valorizzazione del merito come criterio di distribuzione delle opportunità e di valutazione delle persone. L’impostazione statalista e dirigista che ha imperniato l’ordinamento degli ultimi cinquanta anni ha portato con sé la marginalizzazione del merito, che non è mai assurto a principio guida in grado di regolare i fenomeni sociali, i processi economici e le relazioni di lavoro”.
Per rilanciare la scuola occorrerebbe manovrare tre leve: “Valorizzazione del merito e piena applicazione del principio di autonomia scolastica”, “valorizzazione del merito degli studenti” e, infine, “valorizzazione del merito dei docenti”. Come? In primis, passando per il “rafforzamento dei poteri organizzativi e disciplinari dei dirigenti scolastici con compiti di gestione amministrativa e di reclutamento del corpo docente”. Proseguendo per “la promozione di una piena concorrenza tra le istituzioni scolastiche, mediante l’adozione di meccanismi di ripartizione delle risorse pubbliche in proporzione ai risultati formativi rilevati da un organismo terzo” che pubblicherà “annualmente una classifica regionale delle istituzioni scolastiche fondata su parametri trasparenti e verificabili” e attraverso “il riconoscimento alle famiglie di voucher formativi da spendere nelle scuole pubbliche o private”.
Gli studenti dovrebbero essere spronati a dare il meglio attraverso “la cancellazione del sistema dei debiti formativi e l’aumento della selettività dei meccanismi di avanzamento scolastico, anche attraverso la reintroduzione degli esami di riparazione”. Per coloro che sono in difficoltà occorrerebbe prevedere “all’interno del piano dell’offerta formativa delle singole istituzioni scolastiche, anche consorziate tra loro, appositi moduli integrativi obbligatori che diano l’opportunità, senza oneri a carico dello studente, di recuperare nel corso dell’anno eventuali insufficienze nelle singole materie” e per i più bravi incentivare “gli interventi volti alla concessione di borse di studio legate al merito, ferma restando la necessità di garantire un sistema adeguato di sovvenzioni a studenti meritevoli in stato di necessità”.
Per spingere i docenti a lavorare “meglio” dovrebbe essere eliminato “ogni automatismo nelle progressioni retributive e di carriera degli insegnanti”. Bisognerebbe liberalizzare progressivamente la professione docente “attraverso la chiamata nominativa da parte delle autonomie scolastiche su liste di idonei, con un periodo di prova di due anni scolastici propedeutico all’assunzione a tempo indeterminato” e dare “la possibilità alle singole istituzioni scolastiche di stipulare con singoli docenti contratti integrativi di tipo privatistico”.
Per fare decollare il sistema universitario gli studenti dovrebbero sottoporsi ad “esami preliminari obbligatori per l’accesso alle università pubbliche e private, anche ove non sia previsto il numero programmato per le iscrizioni ai corsi di laurea, al fine di valutare la preparazione di base e i successivi progressi degli studenti”. Bisognerebbe rimodulare “le tasse universitarie, con rafforzamento delle borse di studio destinate agli studenti meritevoli e aumenti delle tasse a carico degli studenti fuori corso”, ampliare “l’ambito di applicazione dell’istituto del prestito d’onore”.
Per la valorizzazione del merito dei docenti universitari e dei ricercatori si dovrebbe passare per la “la progressiva abolizione degli incarichi a tempo indeterminato”. Occorrerebbe rivedere “i meccanismi di reclutamento, mediante l’istituzione progressiva della chiamata nominale da parte delle facoltà universitarie” e “introdurre sistemi di verifica triennali dei risultati della ricerca, ai fini del mantenimento dell’incarico e delle progressioni di carriera”. Ma non solo. I finanziamenti agli atenei dovrebbero essere ripartiti in misura direttamente proporzionale ai risultati formativi qualitativi certificati da organismi terzi”. Stesso discorso per gli Enti di ricerca ai quali toccherebbe la privatizzazione e “la soppressione di quelli pubblici che risultano inadeguati rispetto agli standard internazionali”.
Repubblica.it – 8 maggio 2008
Il 4 maggio 2008 su l’Unità, in attesa di conoscere l’Esecutivo Berlusconi quater, Marina Boscaino ha proposto il seguente ritratto della Ministra in pectore.
La stella Gelmini, trentacinque anni per spegnere la luce alla scuola pubblica
Mariastella Gelmini, forzitaliota doc, cattolica oltranzista, potrebbe essere il futuro ministro dell’Istruzione (speriamo – ma non ne siamo certi – pubblica).
La cautela è d’obbligo: la Gelmini – trentacinquenne – è avvocato. Assessore al territorio della Provincia di Brescia, consigliera regionale e immediatamente dopo coordinatrice regionale di Forza Italia, la Gelmini viene eletta alla Camera nel 2006. Un pedegree di tutto rispetto; compreso il culto della personalità del Grande Capo (era lì, adorante, il 18 novembre dello scorso anno, quando da un predellino di una macchina parcheggiata a Milano nasceva un partito), che nelle seguaci non manca mai. Di Berlusconi parlava così, in un’intervista al «Giornale» di qualche tempo fa: «Ha carisma, libera in noi energie positive, tira fuori la parte migliore, suscita idee nuove. Dice che bisogna alzarsi al mattino con il sole in tasca. Ai giovani piace la sua idea che la politica sia una cosa a tempo. Si fa se c’è entusiasmo, finché si è utili. Il contrario del politicante di professione». Spregiudicatezza, dinamismo, “modernità”, freschezza: è questo che l’elettorato italiano apprezza, come dimostra – più o meno ininterrottamente – dal 1994. Atteggiamenti rincorsi affannosamente per tentare di ingaggiare un confronto impari sin dalla partenza. Che ha portato – nella generalizzata mancanza di progetto politico – alla pesante sconfitta elettorale.
La scuola rischia. È vero che siamo abituati da tempo al fatto che per occupare la poltrona di viale Trastevere non occorre titolo specifico, se non il fatto di averla frequentata, la scuola. E siamo anche abituati al fatto che l’ostinazione a non considerare la carica di ministro di un settore delicato come quello dell’istruzione vincolata a competenze e sensibilità specifiche sia un errore che nelle ultime due legislature è stato pagato a caro prezzo. Ma qui c’è di più. Il cursus honorum della Gelmini tradisce almeno elementi determinanti, che fanno presagire guai grossi per la scuola pubblica, qualora le previsioni dovessero avverarsi. Innanzitutto il suo essere “lumbard”, senza se e senza ma. Strenua fautrice del federalismo fiscale, sostenitrice entusiasta di Roberto Formigoni: è appena il caso di ricordare come Formigoni stesso sia stato in grado di ammettere – usando la riforma del Titolo V della Costituzione – il doppio canale (sistema di istruzione vs sistema di formazione professionale) in Lombardia, avvalendosi dell’autonomia regionale nel campo dell’istruzione. Il fatto che la Gelmini abbia presentato il 5 febbraio scorso una proposta di legge che si pone come primo obiettivo «L’attuazione concreta nella società italiana del principio del merito» è la cosa che preoccupa di più.
Protagonista principale, la scuola. I punti essenziali di questo, che si preannuncia come un assedio arrembante al sistema scolastico statale, sono riassunti nella scheda qui sotto. Quello che preoccupa, soprattutto, è l’assoluta miopia nel continuare ad ignorare una serie di elementi fondamentali, che rendono – come dimostrano i tanto sbandierati dati Ocse Pisa, mai letti con la necessaria attenzione – il sistema scolastico italiano tanto disomogeneo. Innanzitutto la mancanza di analisi rispetto alle differenti realtà locali, ai territori, alle regioni. Prevedere un sistema di valutazione che individui standard di prestazioni è già impresa estremamente difficile. Considerare poi che questi standard possano essere sovrapponibili a tutte le realtà, non tenendo conto delle differentissime condizioni di partenza, delle strutture, della composizione del territorio è miope o in malafede; perché propone implicitamente la peggiore delle discriminazioni: quella su base socio-culturale. La chiamata nominativa dei docenti, sostituita alla chiamata per graduatoria pubblica, significa virtualmente sostituire alla garanzia di pari opportunità di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori un criterio lobbystico e clientelare, quando non improntato alla necessità di consacrazione di un pensiero unico. La concorrenza nella scuola ha già creato danni e disfunzioni sufficienti, imponendo di concentrare l’attenzione su elementi più o meno fittizi che con la qualità dell’insegnamento e la capacità di costruire cittadini consapevoli e autonomi non hanno nulla a che fare.
Non saranno certamente la reintroduzione dell’esame di riparazione o l’aumento di selettività dei meccanismi di avanzamento scolastico a risollevare la scuola italiana dall’impasse culturale e formativa nella quale sta da anni scivolando.
La strada individuata dalla Gelmini (qualora dovesse essere lei il nuovo ministro) scatenerà l’applauso di opinionisti-accademici, le cui lobbies consolidate garantiscono incursioni spregiudicate in campi di cui non conoscono la complessità. Applicando a quei campi criteri manageriali. Ma, ne sono certa, non del mondo della scuola. Non è di un interventismo decisionista ed efficientista, acritico e mercantilistico di cui la scuola italiana ha bisogno.
La proposta del futuro ministro:
– Rafforzamento dei poteri organizzativi e disciplinari dei dirigenti scolastici e degli organismi di amministrazione che li adiuvano, con compiti di gestione amministrativa e di reclutamento del corpo docente
– La promozione di una piena concorrenza tra le istituzioni scolastiche, mediante l’adozione di meccanismi di ripartizione delle risorse pubbliche in proporzione ai risultati formativi rilevati da un organismo terzo tenuto a pubblicare annualmente una classifica regionale delle istituzioni scolastiche fondata su parametri trasparenti e verificabili
– Cancellazione del sistema dei debiti formativi e l’aumento della selettività dei meccanismi di avanzamento scolastico, anche attraverso la reintroduzione degli esami di riparazione;
– Valorizzazione del merito dei docenti, mediante: – l’eliminazione di ogni automatismo nelle progressioni retributive e di carriera degli insegnanti;
– la progressiva liberalizzazione della professione, da attuare attraverso la chiamata nominativa da parte delle autonomie scolastiche su liste di idonei, con un periodo di prova di due anni scolastici propedeutico all’assunzione a tempo indeterminato, garantendo comunque la mobilita` dei docenti;
– la possibilità, per le singole istituzioni scolastiche, senza oneri aggiuntivi a carico della Stato, di stipulare con i singoli docenti contratti integrativi di tipo privatistico.
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