In tutto il resto del giornale trovate per chi votare e ovviamente per chi non votare, (cfr. “Mister Unfit” che ci sta dicendo sempre più che ci vuole esattamente come lui, solo un po’ più poveri).
Qui parlo invece agli indecisi della vigilia non sul voto ma sul seggio stesso,che stando al naso e ai sondaggi sotto traccia restano parecchi anche oggi, parlo a coloro che non sanno se andranno a votare.
Il livello politico, razionale e umorale che chiamo in causa è – lo premetto esplicitamente – basso, niente a che vedere con la ratio dei politologi e le teorie rocambolesche applicate al voto utile, disgiunto, opposto che hanno riempito le discussioni mediatico-elettorali delle ultime settimane.
Parlo insomma ai cittadini della politica da caffè, della politica da casa, della politica “ignorante”, nel senso che ignora tantissime cose anche perché la stampa gioca in questo un pesante ruolo a velare invece che a svelare, ma anche della politica consapevole, ossia di quella che pensa di saper tutto e proprio per questo non ne può più e ritiene di “dover dare un segnale definitivo” non andando a votare. Ne hanno fatte troppe, sono stufo di turarmi il naso e qualunque altro foro, compreso quello interiore…
E ne scrivo da un livello di saturazione che nulla ha di antipolitico e tutto di politico o politicissimo, nella critica al complesso di persone e di fattori che ci hanno ridotto così. Sarei perfetto per il “non voto”, insomma, e davvero da due mesi sono incerto sul da farsi.
Invece andrò a votare. E ci andrò per una serie di motivi che possono riassumersi in una banalissima domanda: chi danneggio se non vado a votare, oltre al mio diritto/dovere di voto se volete in apparenza ormai anacronistico di fronte allo scempio cui abbiamo assistito finora? Che cosa ottengo? Non mi pentirò il giorno dopo di non aver votato, per chiunque (lo ripeto a caratteri cubitali) intenda votare?
Così ho smontato politicamente, razionalmente e umoralmente la catena di ragioni per cui avrei disertato volentieri per la prima volta nella mia vita di elettore, avendo alle spalle teorie non proprio leggerine e sostenute ovunque potessi come la “complementarietà degli schieramenti”, lo scippo di democrazia reale e formale negli ultimi anni ai nostri danni, una serie di errori marchiani ai confini della complicità in Parlamento ecc.ecc.
Insomma,”la casta” e i suoi derivati, in una stagione infernale in cui al minimo della progettualità ideale si è abbinato il massimo dell’invasività della cosiddetta politica politicante, brava a infiltrarsi ovunque, in alto come in basso, o in infimo.
Dunque i tre avverbi.
L’avverbio “umoralmente” rimanda a quel senso di impotenza che prima il quinquennio berlusconiano e poi i due smozzicati anni del centro-sinistra ci hanno comunicato: non c’è più niente da fare, siamo fottuti. E già, e martedì prossimo se non sono andato a votare forse che ho fottuto qualcuno io? Mi sono sfogato, certo, con l’idea che “non mi fregano più”, ma nel frattempo continuerebbero a fregarmi. E a meno di non aver pronte altre soluzioni di tutt’altro genere, diciamo alla termidoriana i “forconi”, sarei qui a rodermi come e più di ora.
L’umoralità è una gran bella cosa,ma poi finisce a fette di mortadella nella scheda (vent’anni fa, come cronista ad un seggio, vidi anche quella).
“Razionalmente” invece rimanda alle cose da fare: non voto, mi collego a chi non vota, cerco la resistenza di altri cittadini stufi come me a futura memoria, tanto non saranno elezioni decisive almeno a giudicare dal contesto. Che tipo di abito mentale, di pragmatismo civico, mi fornisce questa scelta? Che cosa ci guadagno nella mia identità di persona? La ratifica che ” la storia è finita”? Ma a parte le bestialità modello Fukuyiama, chi finisce casomai saremmo solo noi, autoemarginati persino dall’esercizio elettorale. Non solo: l’esempio di non andare a votare per protesta si comunica o si comunicherebbe immediatamente soprattutto a parenti, amici e giovani, quasi una sorta di suggello a un percorso politico. Capolinea, insomma: e già, ma al capolinea si scende. Per andare dove, fermo restando naturalmente tutte le critiche all’azienda dei trasporti e al guidatore dell’autobus che sembrano pensare solo a loro?
“Politicamente” è un avverbio ancora più rognoso, ma anche più semplice da decifrare. Disertando le urne, quale dei poteri politico-economici rappresentati in questa tornata elettorale danneggio o anche solo infastidisco? Probabilmente nessuno, secondo la regola che meno teste/voti debbo controllare più semplice è fare come se non avessi degli obblighi di rappresentanza: non è forse quest’ultimo l’autentico misfatto degli anni più recenti?
Ma così astenendomi mi privo della pur minima possibilità di “frequentare” la democrazia.
Quale? Quella che ci è rimasta, cioè una democrazia impallidita che proprio per questo non ho intenzione di fugare del tutto.
Me lo ricordo in tutt’altra situazione, nei primi anni ’90, l’onnipotente Craxi che diceva al Tg2 “andate al mare” e con lo stesso tono di voce poi “passami il sale” al sodale di tavola alla vigilia del referendum sulla preferenza unica, mi pare da Caprera o dalla Maddalena: quella sì era una fucilazione della democrazia, che adesso rischia (eufemismo!!) una fine analoga per sua stessa colpa implosiva.
È ovvio che mi ripugnano “larghe intese”, “lunghi inciuci” e tutto il repertorio che incombe su questo infelice momento politico. Ma non vedo nella storia e nella cronaca italiana eventi e sviluppi che diano ragione all’astensione, mai. Non sembra “cosa nostra”.
Sì, la pazienza non può essere infinita, e quindi la guardia non va abbassata neppure di un centimetro. Sì, votare sempre e comunque il meno peggio rischia di essere un esercizio sempre meno democratico e sempre più olfattivo.
Ma l’ipotesi astensione non mi garantisce niente di più e casomai mi toglie una scelta pur virgolettata, lasciandomi ancora più povero. Quindi votiamo, anche se in parecchi non si meritano questo voto, votiamo alla memoria di chi ha sacrificato tutto per permettercelo, votiamo alla memoria del futuro che comincia un momento dopo lo scrutinio delle schede.
Aver votato comunque non indebolisce ma rafforza qualunque espressione civica. Certo, a maniche rimboccate…
L’Unità