14 gennaio 2008 – “Propongo una moratoria della messa in discussione della legge 194/78. Sospendiamo la messa in discussione, anche nelle forme subdole”. E’ quanto sostiene una ginecologa, la dottoressa Dirce Vezzani, nella lettera che pubblichiamo qui di seguito. “Condivido lo spirito della lettera – dice l’on. Manuela Ghizzoni che l’ha ricevuta – perchè si pone l’obiettivo di porre al centro della riflessione, realmente e concretamente, il sostegno alla maternità consapevole”.
“Cara Manuela sono un pò in allarme per questo dialogo Veltroni Ferrara sulla 194, Che fanno e che dicono le donne DS su questa materia? Giochiamo come sempre sulla difensiva? Si muove solo il capo o esistono altre teste che pensano e comunicano (escludendo la Turco che ha un ruolo che la mette un pò da parte)?
C’è il coraggio di proporre una contromoratoria? Io ce l’avrei ma dato che non sono nessuno, nessuno mi ascolterebbe. Propongo una moratoria della messa in discussione della legge 194/78. Sospendiamo la messa in discussione, anche nelle forme subdole.
La legge 194 è storia viva, oltre che un fatto. 30 anni di storia della legge e di storie di donne non si possono cancellare. Sono due generazioni di donne che hanno vissuto la loro età fertile contando anche su questo supporto, questa via d’uscita nelle situazioni insostenibili, che hanno cresciuto figlie informandole anche del diritto all’autodeterminazione.
Il dibattito sulla vita nascente non fa che rendere le posizioni sterili: non c’è ingresso di essere umano nel mondo senza corpo e mente materna che lo accompagnino. Non si può chiedere che un principio prevalga sull’altro: la vita umana nascente (che per la natura non è autonoma, dunque concetto tutto culturale) e la realizzazione dell’individualità della donna che una nuova maternità può distorcere. Smettiamo di mettere l’intera legge 194 in discussione e lavoriamo per sostenere con i fatti le maternità, ma tutte quante, anche quelle delle donne che non chiedono di abortire nonostante le difficoltà, senza condizionare i sostegni al ripensamento di una volontà espressa di interrompere la gravidanza.
Porre la donna gravida al centro dell’attenzione (come Ferrara propone su Famiglia Cristiana) è ciò che avviene in tutti i luoghi dove la donna vale solo per la propria capacità riproduttiva. Altro è lavorare per dare valore sociale alla maternità e alla paternità.
Preparare supporti sociali solidi non è compito di noi professionisti sanitari (piuttosto di chi gestisce risorse e politiche) ma dobbiamo conoscere cosa offre il tessuto sociale in cui operiamo, quando una donna ci chiede di certificare la sua richiesta di interrompere la gravidanza.
Ma anche nel nostro campo ci sono strumenti da pensare per sostenere tutte le maternità: conoscere e valorizzare la fisiologia del corpo e della psiche della donna nel percorso nascita, fornire strumenti competenti e rispettosi per la cura delle situazioni di patologia, preparare gli operatori a gestire il rapporto con la paziente in caso di esami di screening dubbi o patologici, predisporre percorsi per gli accertamenti utili e tempestivi; ancora sostenere la donna nel postparto mentre dà corpo al suo legame con il bambino. Favorire il suo empowerment attraverso strumenti efficaci in rapporto alla sua cultura della salute e alle sue competenze linguistiche. Tutto questo richiede azioni, competenze degli operatori, governo del lavoro di rete, verifica delle azioni e risorse.
Infine i codici di autoregolamentazione: suscitano gli entusiasmi di molti se sono indirizzati a limitare il ricorso all’aborto in epoche avanzate. Forse che negare l’interruzione di gravidanza rimuove il problema? Pensiamo che la donna svilupperà un senso di attaccamento positivo nei restanti mesi di gravidanza a quel figlio imposto? Piuttosto mi sembra che i codici tentino di annullare il dilemma etico e legale: che faremmo per chi viene al mondo (e magari respira, quindi è vita per il senso comune) dopo che colei che l’ha generato (o coloro, ci sono anche i padri che rifiutano il proseguimento di gravidanze problematiche) chiede che non arrivi al mondo?
Credo che dopo 30 anni siamo in grado di smettere di difenderci e proporre azioni positive per il sostegno di Percorsi per le Scelte Riproduttive. Se rifletteremo su cosa dà reale sostegno alla maternita’ consapevole faremo un salto di qualità anche nell’applicazione della legge 194, che potrà contare non sulla deterrenza ma su valori e fatti. Per questo chiedo una moratoria alla discussione su quale principio debba prevalere, già 30 anni fa i legislatori presero atto della coesistenza di entrambi nella società italiana. Saluti molto amareggiati”.
Dirce Vezzani, ginecologa