Con il decreto 138 varato il 13 agosto scorso il nostro legislatore ha fatto un (altro) tentativo di rispondere alla drammatica emergenza del nostro paese. È dal 13 agosto che non solo il Pd e l’opposizione, ma la gran parte delle forze sociali, denunciano l’inadeguatezza delle misure adottate; non solo l’ingiustizia nella distribuzione dei sacrifici richiesti dalla crisi, ma anche la scarsa credibilità dell’insieme e quindi la sua inefficacia.
Dal 13 agosto il Pd e le opposizioni hanno avanzato al senato modifiche che cambiano la manovra, nel segno dell’equità e dell’efficacia.
Invano! I cambiamenti al testo del decreto introdotti da una maggioranza più che mai dilaniata al suo interno, hanno solo peggiorato il risultato.
Tale giudizio, purtroppo, si vede nelle reazioni stroncatorie delle autorità e dei mercati internazionali, che ci indicano “l’orlo dell’abisso” su cui siamo. In questo contesto le vicende dell’articolo 8, sulla contrattazione collettiva di prossimità, sono drammaticamente emblematiche. A nulla sono valse le richieste avanzate da osservatori esperti e non certo estremisti come Franco Marini di stralciare la norma, che non c’entra niente con i saldi della manovra in discussione e non ha nessun carattere d’urgenza. Né sono state accolte le critiche argomentate dei senatori della commissione lavoro, fra cui chi scrive.
Il testo arrivato in aula mantiene tutta la sua gravità. Sono stati corretti alcuni veri e propri errori di “grammatica giuridica” riguardanti i soggetti abilitati a concludere gli accordi aziendali in deroga e la efficacia generale degli stessi, con un rinvio in sé positivo all’accordo interconfederale del 2011.
Ma resta inaccettabile la scelta di fondo per cui il legislatore conferisca alla contrattazione aziendale una delega a derogare, senza limiti e senza criteri direttivi, a norme e diritti fondamentali dell’ordinamento, come quelle dello Statuto dei lavoratori, compreso l’articolo 18 sui licenziamenti; anche se si è precisato che restano salvi i principi costituzionali e vincoli derivanti dalle norme comunitarie e dalla convenzioni internazionali sul lavoro, per evitare le più evidenti obiezioni di costituzionalità.
Una simile delegificazione senza limiti non ha riscontro in nessun ordinamento moderno, neppure nei più liberisti. Inoltre gli accordi aziendali sono abilitati a negoziare deroghe non solo alle leggi ma ai contratti nazionali su tutte le materie indicate. Il che contrasta palesemente con le indicazioni dell’accordo del 2011 e rischia di snaturare il ruolo del contratto nazionale più volte affermato da tutti i sindacati e dalla stessa Confindustria.
Il testo dell’articolo 8 approvato in aula ha introdotto una ulteriore “rottura” nel sistema, attribuendo la legittimazione a concludere gli accordi derogatori alla legge e al contratto nazionale, ai sindacati rappresentativi sul piano non solo nazionale ma anche territoriale. La “rappresentatività” nazionale finora è stata richiesta per legittimare soggetti sindacali in grado di rappresentare interessi dell’intero paese, secondo l’orientamento generalista proprio del nostro sindacato Dare rilievo a una rappresentatività “territoriale” contrasta con tutta la tradizione sindacale e aggrava il rischio, già insito nella norma, di una frammentazione arbitraria del sistema di rappresentanza.
Ed è del tutto contraddittorio con il richiamo all’accordo interconfederale del 28 giugno contenuto nella stessa norma: un’ulteriore prova della contraddizione e della confusione del legislatore.
D’altra parte non vale il richiamo, fatto dalla Lega Nord al federalismo. A parte le incertezze e gli equivoci del progetto federalista leghista, il federalismo istituzionale, coerente con la nostra Costituzione, presuppone una definizione condivisa da tutto il sistema circa i poteri e gli obblighi delle diverse autonomie territoriali.
Il riferimento dell’articolo 8 è invece del tutto indeterminato, per cui la rappresentatività ivi prevista può essere riferita ad ambiti territoriali variabili, anche molto circoscritti: provincia, comuni, oppure ambiti più ristretti, senza nessun ancoraggio a dimensioni e parametri significativi. Di qui la possibile rottura del sistema, che dovrebbe preoccupare tutti, non solo i sindacati, ma anche le associazioni imprenditoriali.
La criticità e le forzature dell’articolo 8 hanno indotto molti osservatori e alcuni sindacalisti a ritenere che anche ove fosse approvato, l’articolo sarebbe di difficilissima applicazione (come del resto si sta verificando con il collegato lavoro).
Anzi c’è chi assicura che le parti più ostiche della norma come gli accordi di modifica dell’articolo 18 non avranno seguito. Sarà! Ma non è un bel commento per chi crede nelle istituzioni e nella legge.
da Europa Quotidiano 07.09.11