Qualche settimana fa, Pierluigi Bersani ha promesso una legge sui partiti per il prossimo luglio. La promessa, oltre a essere un po’ incauta (Bersani è certo di arrivare a ricoprire il ruolo giusto per promuovere la legge?), contiene una distorsione: quando si parla di legge sui partiti si pensa solo ai meccanismi del loro finanziamento. Studiando il caso M5S si capisce invece che l’orizzonte è molto più vasto. M5S è un partito- non-partito, privo di sede fisica e di strutture di direzione, senza iscritti né sedi territoriali, senza finanziatori (a quanto pare), basato su un “non-statuto”, con un capo che si presenta come “portavoce” (pur essendone il
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che governa gli eletti in modo coperto e inaccessibile), con meccanismi di elezione e cooptazione incentrati su referendum telematici in cui non c’è quorum né garanzia alcuna, totalmente privo di democrazia interna… Nel suo piccolo, per la verità, anche Forza Italia a suo tempo aveva costituito un caso rilevante, a cui non fu prestata attenzione: priva di segretario, con un presidente-padrone a vita capace di modificare a piacere statuto e meccanismi, senza congressi o istanze di delibera collettiva e di confronto, senza trasparenza nelle iscrizioni…
Per avviare il cantiere di una legge sui partiti basterebbe mettere in lista tutte queste proprietà e domandarsi se siano davvero ammissibili in una democrazia moderna. In effetti, una legge organica dovrebbe riguardare la forma, la struttura e i meccanismi del partito (tra cui quelli di finanziamento e di rendicontazione). A impostare una legge simile non serve molto appellarsi alla Costituzione, che dei partiti parla in modo troppo sibillino. (Ai sindacati, tanto per dire, dedica maggiore attenzione.) Si limita infatti a dire (art. 49) che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I giuristi hanno dovuto sforzare non poco il testo per far sì che il “modo democratico” di cui si parla venga inteso sia come il contributo che i partiti danno alla politica (la “democrazia dei partiti”) sia come il modo di funzionare delle loro strutture interne (la “democrazia nei partiti”). A un dibattito intermittente hanno fatto seguito diverse proposte di legge, nessuna delle quali arrivata a maturità. Sicché da noi i partiti continuano a essere entità molli, multiformi, abilitate a funzionare come vogliono, dato che nessuna legge ne definisce la benché minima struttura organizzativa e funzionale. Per conseguenza, se la democrazia “dei” partiti è passabilmente viva, la democrazia “nei” partiti è ancora del tutto latitante e costituisce una cruciale riforma dimenticata. Stando così le cose, non solo un movimento immateriale (salvo che al momento di portare candidati in Parlamento) come M5S, ma anche il Touring Club, American Express, la Società Italiana di Glottologia (di cui mi onoro di esser membro) e qualunque altra consociazione potrebbero presentare candidati, formare governi e maggioranze e così «determinare la politica nazionale».
Ma siamo sicuri che questo panorama sia all’altezza dei tempi, democratico e trasparente? E quale potrebb’essere l’indice di una legge di questo genere? Le voci possono essere numerose; mi limito a richiamarne qualcuna. Anzitutto, quanto alla democrazia interna, l’obbligo di disporre di uno statuto redatto e aggiornato secondo regole condivise e di contare su cariche a termine attribuite mediante congresso. Non meno importante è l’obbligo di tenere elezioni primarie per tutte le circostanze, da quelle locali a quelle nazionali, con piena trasparenza delle candidature, delle procedure e dei risultati. Le tematiche finanziarie non sono meno rilevanti: dalla trasparenza nell’uso dei fondi (siano essi pubblici o privati) all’obbligo di pubblicare i bilanci e le liste di finanziatori, al modo di dismettere le proprietà mobiliari e immobiliari in caso di scioglimento o fusione. In una prospettiva più drastica, si può richiedere ai partiti di registrarsi (per esempio presso le corti di secondo livello, che potrebbero anche verificare la congruenza dei loro statuti) e addirittura di adottare statuti rispondenti a principi fissati per legge.
Come si vede, il tema dell’impiego dei soldi pubblici, che sta tanto a cuore ai media e a Grillo, è solo un frammento del problema. Bisognerà vedere se l’impegno di Bersani sarà condiviso anche dalle altre formazioni (incluso M5S) e, soprattutto, se la legge promessa (se mai l’avremo) riuscirà a trovare un’angolazione non limitata a contrastare la corruzione e gli sprechi.
La Repubblica 14.04.12
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